17 Febbraio 2025 -

MAD BILLS TO PAY (OR DESTINY DILE QUE NO SOY MALO) (2025)
di Joel Alfonso Vargas

In un certo senso basta già il doppio titolo originale per dire molto di Mad bills to pay (or Destiny, dile que no soy malo), con cui il regista statunitense di origine domenicana Joel Alfonso Vargas, dopo un’ultradecennale carriera di corti, compie il grande salto presentando fra le Perspectives della 75ma Berlinale il suo primo personale lungometraggio. Un doppio titolo che, se da una parte immerge prima ancora delle immagini lo spettatore in quel bilinguismo che è fondamentale caratteristica dell’ambiente sociale, le comunità ispaniche del Bronx in cui Vargas è cresciuto e ancora vive, che il film mette in scena con un realismo quasi documentario nel quale immaginare i suoi personaggi e le loro vicende, dall’altra introduce sin da subito la maturità e l’immaturità del suo giovanissimo protagonista, la sua parte razionale (sia dei mad bills to pay figurati, ovvero la necessità di affrontare in generale le conseguenze delle proprie scelte, sia dei mad bills to pay che non lasciano spazio alle metafore e letteralmente sono conti pazzi da pagare perché un bambino costa e non gli si potrà fare mancare nulla) che la vita lo obbliga a sbrigarsi a forgiare, e la sua residua parte da ragazzino ancora egocentrico e apparentemente un po’ presuntuoso ma in realtà fragile, vulnerabile e insicuro, che attraverso la giovanissima Destiny e la sua gravidanza cerca di dimostrare in primo luogo a se stesso (e in secondo alla mamma, anche se non lo ammetterà mai) di non essere cattivo. Un titolo in due parti che da un lato ha gli Stati Uniti, il feroce capitalismo iperproduttivo a cui necessariamente adattarsi per sopravvivere e far sopravvivere, la quotidianità e le (spesso inique) regole di vita con cui necessariamente fare i conti, e dall’altro ha il cuore caliente latino, le emozioni e le reazioni contraddittorie di una genitorialità per cui non si è ancora pronti, la ricerca ancora infantile di un’affermazione personale da raggiungersi attraverso quella familiare. L’inevitabile paura di quando ci si ritrova, all’improvviso, ricoperti di responsabilità. Del resto, è proprio nel suo affrontare di petto la paternità che Mad bills to pay (or Destiny, dile que no soy malo) trova quelli che sono i suoi principali spunti di interesse. Una tematica, tendenzialmente rara in un cinema contemporaneo che in genere preferisce occuparsi di madri, sulla quale Vargas innesta un romanzo di formazione forse non proprio del tutto risolto ma senza dubbio stratificato in diverse e ben ragionate sfaccettature, che dall’apparente indie americano di un incipit che pare guardare a Sean Baker vira prima verso la commedia (anche scorretta, come quando i due fratelli si sputtanano a vicenda dicendo incrociati alla madre come una ancora minorenne ci provi con il DJ e l’altro appena maggiorenne fumi erba dal mattino alla sera) e poi verso il dramma familiare (e lavorativo, e di nuovo familiare ma dall’altro ramo in via di acquisizione), per ritrovarsi al termine di una (necessariamente) rapida parabola di crescita fatta di poche scelte giuste e di molte scelte sbagliate, di sacrifici, di ingenuità, di errori, di litigi e di (ri)cadute, di giornate al lavoro e di ingiusti benserviti, ma anche di separazioni e di riconciliazioni, forse non ancora del tutto pronti a crescere una creatura (del resto, chi mai lo è?), ma senza alcun dubbio più consapevoli, più organizzati, più uniti. Finalmente adulti, forse.

Sceglie sin da subito di essere depistante, Joel Alfonso Vargas. Prima concentrandosi sulla madre molto poco a casa e quasi sempre in abiti da infermiera per non far mancare nulla ai figli, poi facendo sembrare la pecora nera della famiglia la sorella diciassettenne Sally, e solo dopo qualche minuto facendo confessare in famiglia al diciannovenne Ricardo, detto Rico, di avere messo incinta una ragazza di tre anni più giovane, prontamente cacciata dai suoi genitori per la gravidanza e per il rifiuto di abortire. Una progressione verso il cuore del film che Vargas struttura e mette in scena, come il resto del suo Mad bills to pay (or Destiny, dile que no soy malo), in lunghi e raffinati pianisequenza fissi, spesso ariosi sopra l’orizzonte mentre personaggi e azioni si concentrano nella parte bassa dei fotogrammi, con cui esaltare da una parte le linee verticali, le porte e le tende di una casa che si fa stretta come il tempo e le giornate che non si possono più perdere, e dall’altra la naturalezza di qualche improvvisazione che verosimilmente si sovrappone ai dialoghi e alle emozioni scritte in sceneggiatura, e che il piccolo gruppo di attori si carica interamente sulle spalle (non solo l’ottimo Juan Collado che mantiene il suo Rico costantemente sospeso fra la spavalderia e l’infantilismo, fra la consapevolezza e i videogame, fra l’inadeguatezza e un senso della famiglia che non potrà che arrivare, ma anche la madre affidata a Yohanna Florentino che deve necessariamente trovare il modo di spronare il figlio colpendolo proprio dove sa che i suoi nervi sono più scoperti, la sorella interpretata da Nathaly Navarro che gli rinfaccia tutto quello che gli viene concesso e soprattutto la futura madre Destiny interpretata dall’omonima Destiny Checo, capace di passare nel giro di pochi secondi dalla preoccupazione alla malinconia al sorriso alle lacrime, come un vero e proprio catalizzatore emotivo), mentre i loro personaggi, una tappa dopo l’altra, progressivamente mutano mentalità e imparano la necessità di cambiare vita. Da bambini che si sentono grandi senza esserlo, che ancora tengono i soldi in una scatola da scarpe, che sottovalutano rischi e fatiche della gravidanza, che chiamano tutti «bro» e che credono che vendere intrugli fatti in casa sulla spiaggia sia un vero lavoro, a futuri padri con i capelli corti e finalmente almeno un po’ di sale in zucca. Da bambine timide e ingenue che si fidano (sempre meno) ciecamente di uno sprovveduto e fuggono di casa per farsi mantenere, a future madri che capiscono ancora prima del loro ragazzo il senso della vita che sta crescendo dentro il loro corpo e che forse proprio per questo, in contrapposizione alle scorie patriarcali che ancora serpeggiano per la società e pure nelle idee iperprotettive di Rico, non accettano di rinunciare a costruirsi un personale futuro in cui ricominciare a studiare per costruirsi una posizione che non sia solo stare a casa coi figli. Costrette a crescere più in fretta di tutti dagli ormoni e dal senso di responsabilità, dalla mancanza dei genitori e dalla felicità di quando la madre accetterà di riaccoglierle, e proprio per questo destinate a diventare il faro di chi credevano fosse il loro faro, portando finalmente anche lui alla maturazione. A costo di vederlo passare da una notte in galera (piuttosto facile da ottenere, quando si è neri e temerari di fronte a un poliziotto razzista), da un lavoro faticoso e umiliante, da – come già detto – un immeritato licenziamento. Ma soprattutto da chissà quanti litigi e cambi di umore, da intere nottate passate ubriaco sul pianerottolo per poi dimenticarsi le visite del giorno dopo, da fisse antivacciniste che diventano questione di principio (e punto di rottura) e da conflitti irrisolti con un padre pressoché sconosciuto che inquinano e intossicano la sua intera percezione della figura paterna. E poi dall’emergere delle sue insicurezze, delle sue preoccupazioni, della sua solitudine, dei suoi errori, della sua paura di aver perso tutto. Fino al cambio di mentalità, all’umiltà di chiedere perdono, alla capacità di vedere finalmente non solo il futuro, ma anche la necessità e le condizioni per poterselo in qualche modo permettere. Elementi di un film che magari nel suo scorrere episodico, specialmente nel prefinale, soffre di qualche colpo d’accetta e di qualche leggera forzatura, e che in generale, forse ancora un po’ acerbo come il suo protagonista, non sembra cercare particolari guizzi e vibrazioni ma procede stratificato quanto in definitiva abbastanza prevedibile sulla strada tracciata. Eppure un’opera prima indubbiamente interessante nel suo interrogare, da uno spaccato sociale del Bronx e delle sue minoranze, l’adolescenza e la paternità (ma in realtà le intere dinamiche familiari) da più punti di vista, ma soprattutto un film con una reale idea di regia, fatta di un linguaggio forse un po’ accademico e ancora da affinare fino alla sua definitiva maturazione, ma senza dubbio già ben chiaro e coerente, con cui mettere in scena la difficoltà di dimostrarsi all’altezza, le complessità di una rapida maturazione quando arrivano improvvise le responsabilità, la necessità di porsi qualche dubbio in più prima che sia troppo tardi. Il turbamento di chi sta vicino e non può fare nulla più di quanto stia già facendo. Al punto che, in questa Berlinale per ora decisamente piatta e sotto tono, lontana anni luce dallo sguardo e dalle capacità di programmazione delle edizioni Chatrian (e in realtà anche da quelle Kosslick), un film del genere magari non riuscirà (ancora) a destare chissà quale entusiasmo, ma permette di accontentarsi piuttosto volentieri, e di immaginare per Joel Alfonso Vargas, già autore ‘vero’, un futuro importante e potenzialmente molto brillante.

Marco Romagna

“Mad Bills to Pay (or Destiny, dile que no soy malo)” (2025)
101 min | Drama | United States / United Kingdom
Regista Joel Alfonso Vargas
Sceneggiatori Joel Alfonso Vargas
Attori principali Juan Collado, Destiny Checo, Yohanna Florentino
IMDb Rating N/A

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