5 Febbraio 2025 -

U.S. PALMESE (2024)
di Marco e Antonio Manetti

Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro.
Pier Paolo Pasolini

È un film per chiunque abbia preso acqua, freddo e sconfitte beffarde sostenendo con orgoglio la squadra della propria città in giro per i gradoni degli stadi, U.S. Palmese. Un film per chiunque abbia giocato in strada o in un giardinetto di periferia sognando un giorno di poter calcare il prato di Wembley e del Bernabeu, e con la stessa passione e spirito di squadra si presenta sui campi in terra amatoriali del mercoledì sera ben felice, se necessario, di rimanere in panchina per far giocare al suo posto il compagno più forte. È un film fatto dell’amore e dell’odio assoluti e perfettamente intercambiabili di chi, di volta in volta, ha visto i suoi beniamini partire (magari male) verso altri lidi e ha augurato loro le peggio sciagure salvo poi rendersi conto di averli ancora nel cuore e di essere per sempre nel loro, perfettamente conscio della propria dimensione e di non poterseli più permettere, ma proprio per questo ancora più orgoglioso della fede nei propri colori e innamorato di quella maglia che esisteva ben prima del singolo giocatore e che sopravviverà a qualsiasi addio. È un film per chi intende il calcio come un’intera vita di passione e sofferenza in attesa di poter impazzire nei rari momenti di gioia, è un film per chi sa che un derby su un campetto in terra può valere più di qualsiasi possibile finale di coppa, è un film per chi vive una promozione come un Mondiale e una retrocessione come un lutto personale e collettivo dal quale sembra impossibile rialzarsi.  È un film su un amore, da una parte per il gioco e dall’altra per il luogo che la squadra rappresenta, che va oltre ogni possibile risultato e oltre ogni possibile categoria, forte di uno spirito d’appartenenza che non c’è modo di spiegare – e che forse i sostenitori a distanza delle big non potranno mai davvero capire –, ma che si può solo vivere giorno dopo giorno, senza mai abbandonare la nave soprattutto quando il mare è in tempesta, e senza mai smettere nemmeno per un giorno di sognare, almeno per un momento, almeno per un breve ciclo, di poter (ri)diventare grandi. È per questo che, quando il campionissimo francese Etienne Morville (i cui capelli rasta potrebbero far pensare a Leão, ma basta e avanza la maglietta Why always me? che Marco Manetti ha sfoggiato nel presentare insieme al fratello Antonio il film al 51mo Festival di Rotterdam per capire come l’ispirazione principale dei registi per delineare il personaggio sia stato Mario Balotelli, genio dal temperamento troppe volte sregolato che in effetti attualmente parrebbe alla ricerca di maturità e riscatto…) viene messo fuori rosa dal Milan dopo l’ennesimo problema comportamentale e l’ennesima espulsione a San Siro, (quasi) l’intero paese di Palmi risponde presente alla folle idea del pensionato don Vincenzo, partecipando alla sottoscrizione popolare con cui provare a ingaggiare il giocatore per la locale compagine di Eccellenza, quinta divisione, e iniziare con lui una nuova scalata verso la serie D e poi, forse, le categorie professionistiche. Come a dimostrare che “il calcio che conta” non è necessariamente quello che alza scudetti e coppe, ma quello che fa battere i cuori, quello che unisce e rappresenta un popolo, quello che può segnare in qualche modo il sogno e il riscatto – e magari la delusione, o forse la consapevolezza di essere entrati in un cuore e di essere (stati) fondamentali in un percorso – di un’intera comunità. Quello che, nella semplicità paesana del profondo Sud Italia e del calcio dilettantistico, e in particolare nell’unicità ai limiti dell’esotico di tamburini, Pupi, espressioni dialettali e (sano) provincialismo (quando necessario un po’ omertoso) della Calabria terra natale della madre dei fratelli Manetti, può far mettere la testa a posto e re-innamorare del pallone anche chi oramai lo confonde con il successo, le Lamborghini e l’immagine social da bad boy, troppo arrogante ed egoriferito per rendersi conto di aver smarrito la propria passione e che il talento da solo non può in alcun modo bastare. Un «bagno di umiltà» a cui il campione viene costretto dal suo procuratore come ultimo disperato tentativo di ripulire la sua immagine, e che diventerà invece una storia di caduta, risalita, appartenenza, tradimento e riconoscenza, per molti versi anche inaspettatamente commovente nel suo (pre)finale di eterno e reciproco amore.

Per il resto, U.S. Palmese è la parte più sanamente popolare e irresistibilmente spassosa, anzi proprio dichiaratamente cazzara e priva di fronzoli (basterebbero gli avversari meravigliosamente low-cost, sempre interpretati dalle stesse undici comparse a scambiarsi ogni volta di ruolo), del cinema di Marco e Antonio Manetti, che dopo la magnifica trilogia iperteorica (e proprio per questo largamente fraintesa) di Diabolik tornano a un film più commerciale, leggero e meno (smaccatamente) suicida, eppure allo stesso modo perfettamente consapevole dei linguaggi e dei riferimenti (meta)testuali già esistenti con cui deve necessariamente fare i conti. Non più, questa volta, le tavole cadenzate e dilatate delle sorelle Giussani, e nemmeno la dark comedy, il polizi(ott)esco e il fellas movie che precedentemente i fratelli registi avevano studiato e innestato nei musical ‘camorristici’ Song’e Napule e Ammore e malavita. C’è però ancora il fumetto, alla base del loro immaginario, nella sua declinazione manga giapponese o per meglio dire nelle sue versioni anim(at)e a partire da Olly e Benji, del quale manca il proverbiale campo interminabile e a schiena d’asino su una collina, ma sono consapevolmente riprese le difese imbambolate (del resto, sullo scarso o nullo talento dei giocatori di quinta categoria, magari compensato dalla cattiveria in ralenti di chi mira alle gambe, sono basate molte delle gag del film) e, dopo la sortita western per andare a riprendersi il portiere costretto dal padre a fare il pescatore, la perfetta intesa fra l’estremo difensore che blocca qualsiasi tiro e fantasista-cannoniere che riceve, salta tutti gli avversari e la mette nel sacco. Magari in rovesciata, proprio come Pelé in quel Fuga per la vittoria che è dal 1981 per antonomasia “il film sul calcio”. Allo stesso modo, guardano sempre a manga e anime gli insistiti split screen e il pallone che attraversa lo schermo come raccordo di montaggio, mentre guardano in generale alla televisione (e quindi al calcio televisivo, lasciando in filigrana per chi ha voglia di pensarci le ‘colpe’ dei media nella trasformazione del calcio in spettacolo e dei calciatori in influencer), ma pure alla comicità italiana degli anni Duemila, gli utilizzi à la Vanzina dei vari Bonan, Di Marzio, Caressa, Bergomi e perfino Fabio Capello (che pare abbia preteso di riscrivere personalmente le parole del proprio intervento) negli studi di Sky Sport. Del resto inizia proprio con la telecronaca della ‘follia’ di Morville, U.S. Palmese, e non è un caso che lo sputtanamento del giocatore passi anche dai video, montati ad arte, in cui finisce per cascarci e rispondere alle provocazioni di una viscida tiktoker. Elementi non solo comici di un film fatto di (letterali) sogni ad occhi aperti sulla sliding door di un contrasto vinto o perso da un difensore, fatto di boss ‘ndranghetisti inaspettatamente pronti a donare 10mila euro per la squadra del cuore, fatto di un’irresistibile poetessa (interpretata con ottimo accento calabrese dalla fedele sodale romana Claudia Gerini) che, capendo per la prima volta la sacralità popolare del rito del calcio e il suo pasoliniano porsi come un «linguaggio di poeti e prosatori», passa dall’odio viscerale al più totale amore nei confronti dello sport, della Palmese e del protagonista. Un giocatore testa calda che attraverso la riscoperta del piacere e della passione per il pallone, passando per l’errore, l’odio popolare e l’umiliazione (e poi il rimorso e l’ammenda per un nuovo – questa volta pressoché obbligato e proprio per questo così imbarazzante – tradimento), ritroverà la propria umanità e un amore a cui imparare a chiedere umilmente perdono. Eppure non è il solo personaggio destinato a crescere e a maturare, quello del calciatore Etienne Morville, fra un padre retrogrado che grazie a lui finalmente imparerà ad accettare l’omosessualità della figlia alla quale si ostinava a voler trovare «uno zito», i compagni di squadra che spinti dall’entusiasmo di avere in campo un fenomeno riescono in giocate prima impensabili, e un intero paese travolto dalle emozioni di una passione, di un campionato, di una storia d’odio e di amore intensa e burrascosa forse breve o forse ancora tutta da scrivere. Di certo un qualcosa in grado di cambiare la Storia, con un prima e con un dopo. Fra l’adozione, il rifiuto e un’irrefrenabile corrispondenza di sensi attraverso cui riscoprire l’amore più puro e genuino per il pallone, quello dei bambini in strada, quello dei dilettanti che sopperiscono ai limiti tecnici con la passione e l’abnegazione, quello di un’intera cittadina che sogna a occhi aperti e che (non certo per superficialità, ma perché il cuore e la fede superano ogni possibile razionalità) preferisce pagare l’ingaggio di un superprofessionista con cui essere forti piuttosto che tassarsi della stessa cifra per riaprire l’ospedale. Un orgoglio comunitario e uno spirito d’appartenenza, incanalati dal don Vincenzo di Rocco Papaleo e naturalmente amplificati dal contesto calabrese, che fanno accogliere l’inizialmente altezzoso Morville come un Dio, salvo poi finire per detestarlo quando dimostrerà disinteresse per paura di infortunarsi e poi di nuovo amarlo alla follia quando capirà finalmente la realtà in cui si trova, e ricominciando a impegnarsi e a divertirsi giocando come quando era un bambino che sognava di uscire dalla banlieue porterà, fra gol e assist, la Palmese saldamente in testa alla classifica. Per poi magari ritrovarsi ancora a odiarlo come coniugi traditi (ma ancora e per sempre innamorati) quando fuggirà nella notte a metà campionato senza nemmeno il coraggio di dire addio (o magari solo arrivederci), e infine in qualche modo riuscire di nuovo a comunicare e ancora una volta ritrovarsi. In fondo «il calcio è una danza», ripete più volte il mister, perfettamente consapevole di allenare una squadra di scappati di casa ma innamorati del pallone, ai quali un compagno letteralmente alieno in campo e poi un’inaspettata fiducia possono far riuscire qualsiasi miracolo. Il resto è un colpo (non più) segreto, un gioco di gambe che fa sparire il pallone come Houdini, un tiro a giro nel sette su un campetto di periferia così come sul prato della finale di Champions. Un’esultanza con la stessa maglia come una seconda pelle ormai tatuata per sempre sul cuore. L’indescrivibile bellezza del sentirsi, fino al midollo, «uno di noi». Con tutto quello che significa.

Marco Romagna

“U.S. Palmese” (2024)
120 min | Comedy | Italy
Regista Antonio Manetti, Marco Manetti
Sceneggiatori Luna Gualano, Antonio Manetti, Marco Manetti
Attori principali Rocco Papaleo, Blaise Afonso, Giulia Maenza
IMDb Rating N/A

Articoli correlati

L'ORTO AMERICANO (2024), di Pupi Avati di Marco Romagna
TARDES DE SOLEDAD (2024), di Albert Serra di Marco Romagna
TAXI MONAMOUR (2024), di Ciro De Caro di Marco Romagna
HAPPYEND (2024), di Neo Sora di Marco Romagna
LUCE (2024), di Silvia Luzi e Luca Bellino di Marco Romagna
HEY JOE (2024), di Claudio Giovannesi di Marco Romagna