6 Novembre 2022 -

MAD HEIDI (2022)
di Johannes Hartmann e Sandro Klopfstein

Basterebbe citare le fette di Emmenthal scagliate come un mattone dal popolo in protesta, oppure gli arresti per chi tarda di un solo minuto sulla tabella di marcia, o ancora le tavolette di cioccolato utilizzate come arma (a differenza dei coltellini multiuso che semplicemente «non lo sono») per torturare e uccidere i prigionieri. Passando per gli orologi a cucù perfette macchine di precisione con cui scansionare l’iride o in cui nascondere il tritolo, per le cameriere in topless che portano al leader i vassoi di Toblerone, per i «rest in cheese» con cui salutare per sempre i cattivi uccisi nell’immancabile rivolta finale. E ovviamente per la tenera, piccola Heidi, ormai cresciuta, questa volta non tanto con “un cuore” ma soprattutto con un’ascia così: un’indomita combattente, una capopopolo, la spietata vendicatrice dalla quale finalmente (ri)partirà la ribellione. Un sovvertimento totale dell’irraggiungibile dolcezza della bambina messa in immagini da Takahata e Miyazaki, per trasformarla nella ‘folle’ Mad Heidi protagonista del primo e indipendentissimo film di Swissploitation, scritto e diretto da Johannes Hartmann e Sandro Klopfstein nati rispettivamente a Basilea e Berna, finanziato tramite anni di crowdfunding dopo il rilascio di un primo trailer e ora, dopo la recentissima prima italiana del ToHorror, presentato dalla protagonista Alice Lucy – attrice e cintura nera di Taekwondo che nelle sue evoluzioni non ha avuto bisogno di alcuna controfigura – come evento di mezzanotte fra i ‘raggi fotonici’ del Trieste Science+Fiction 2022. Un tornado di intuizioni comiche che consapevolmente risucchia e ribalta ogni cliché e ogni possibile presa in giro sulla Svizzera, e in parte della confinante Francia, in una furia iconoclasta e surreale di provocatori nonsense e di improvvisi apici gore che, già dalla (falsa) pellicola arrossata e rovinata su cui, scimmiottando quello della Paramount, campeggia il falso logo della produzione, dichiara apertamente i suoi sospiri ai grindhouse degli anni Settanta, alla Blaxploitation, alla Nazisploitation, alla Nunsploitation, ai Women In Prison films, e poi ancora ai loro figli, a Quentin Tarantino più volte espressamente citato fra gli allenamenti su musiche morriconiane presi di peso da Kill Bill, il soldato che torna a riferire dell’agguato proprio come in Inglourious Basterds e il perfido comandante Knorr evidente parodia di Hans Landa, e soprattutto al Robert Rodriguez di Machete. Del resto, nel piccolo Paese che da sempre ha fatto della neutralità (ma anche di uno fra gli eserciti più organizzati al mondo) la sua principale caratteristica, l’idea di una Confederazione Elvetica distopica, tenuta da vent’anni sotto il calcagno di una dittatura basata sul formaggio che, come una droga, ammansisce il popolo e lo rende asservito al potere del tiranno produttore caseario, è forse già di per sé la più grande rivoluzione cinematografica possibile, la rottura di ogni tabù, la porta principale per aprire al più puro cinedelirio.

Tanto che importa solo relativamente dell’ulteriore potenziale che Mad Heidi avrebbe ma lascia inespresso, scegliendo la strada della caciara. Importa solo relativamente che l’adesione ai modelli di riferimento sia in fin dei conti solo superficiale, senza il retroterra di reale ribellione politica e sociale che fu di Melvin Van Peebles (non solo in Sweet Sweetback’s Baadasssss Song), di Gordon Parks e della Pam Grier icona più che ventennale da Foxy Brown a Jackie Brown, senza che la sezione di torture a tempo di Yodel in carcere riesca realmente a ridiventare Ilsa la belva delle SS (o, se si preferisce, il falso trailer di Werewolf Women of the SS firmato da Rob Zombie e piazzato in Grindhouse fra il Planet Terror di Rodriguez e il Deathproof tarantiniano), proprio come importa relativamente che sempre di Tarantino, chiaramente il principale faro guida per Hartmann e Klopfstein, manchino le riflessioni sul cinema e sul tempo, le istanze femministe e antirazziste, la profondità delle ucronie storiche. Semplicemente perché le ambizioni di Mad Heidi non sono le medesime del regista di Knoxville o degli afrodiscendenti degli anni Settanta, come non è lo stesso il contesto storico e geografico, non è la stessa l’urgenza di rappresentare e rovesciare attraverso la narrazione e gli eccessi di sesso e violenza una qualche metafora di stupri, discriminazioni e ingiustizie. Ciò che interessa al film svizzero è divertire, intrattenere, far ridere costantemente lo spettatore con l’anarchia delle sue continue trovate, con la sua ironia esacerbata e scorretta, con la spettacolarità delle sue improvvise esplosioni di violenza. Con la sua ostentata assurdità eretica in cui vale tutto: vale che gli intolleranti al lattosio siano il nemico interno di un Paese dittatoriale pseudo-nazista, vale che il nuovo palazzo governativo sia il caseificio di proprietà del despota interpretato fra tute rosse e alte uniformi da Casper Van Dien, vale la produzione di Stato di un «formaggio ultra-svizzero» lavorato con latte umano che trasforma chi lo mangia in una sorta di «super-soldato» zombie mansueto e obbediente. Vale che il gerarca pseudonazista più pericoloso si diletti con i possibili usi alternativi di wurstel e salsicce, vale il latte come principale veicolo di tortura (e magari di vendetta), vale che ogni personaggio venga introdotto da una still con il font più appropriato alla sua caratterizzazione, e vale che Clara Sesemann sia una compagna di sventura di Heidi nel carcere diretto dalla signora Rottweiler (unico piccolo cambiamento di nome rispetto alla crudele signora Rottenmeier tutrice della bambina nella serie animata) e che la sua parabola non possa che concludersi su una (stavolta temporanea) sedia a rotelle, in attesa del sequel Heidi & Clara annunciato, proprio come Machete Kills, e a sua volta come in decine e decine di grindhouse d’exploitation dell’epoca d’oro, direttamente in coda al film. Vale che il nonno di Heidi sopravviva a un’esplosione e dopo vent’anni riorganizzi la Resistenza per salvare la nipote, vale che Heidi sia innamorata del nero Goat Peter che si veste a metà strada fra un cosplayer in costume bavarese e 50Cent nel videoclip di P.I.M.P., e vale che la di lui testa venga fatta esplodere da Knorr sulla pubblica piazza per produzione non autorizzata di prodotti caseari alternativi a quelli governativi, scatenando la vendetta della Mad Heidi. Vale che la fuga dal carcere sia solo questione di sfruttare un momento di disattenzione, vale che le celebrazioni per il ventennale della dittatura siano a metà strada fra i combattimenti gladiatori romani e una corrida con tanto di uomo-toro svizzero da decapitare, vale che il popolo ormai del tutto anestetizzato da totalitarismo, formaggio e bandierine non capisca nulla nemmeno quando viene arringato, e vale perfino l’aiuto divino o comunque soprannaturale, con lo spirito di Helvetia protettrice della Natura e le sue suore che si occuperanno come novelle Pai Mei di addestrare la protagonista. Quello che conta è la lucida e spassosa follia, la forza dirompente, il continuo susseguirsi di follie cinematografiche. Il coraggio di rifiutare ogni possibile logica produttiva, per scegliere la via della più assoluta e totale, (in)cosciente, anarcoide libertà. Fino all’ultimo combattimento, fino all’ultimo proiettile, fino all’ultima deflagrazione, fino all’ultimo corpo ridotto a «formaggio coi buchi», fino all’ultima bandiera svizzera usata come lancia. Fino all’ultimo colpo di genio di un film già cult, un guilty pleasure che sullo schermo non vuole svelare chissà quale verità, ma sa ancora benissimo che cosa vuol dire osare.

Marco Romagna

“Mad Heidi” (2022)
92 min | Action, Adventure, Comedy | Switzerland
Regista Johannes Hartmann, Sandro Klopfstein
Sceneggiatori Sandro Klopfstein, Johannes Hartmann, Gregory D. Widmer
Attori principali Alice Lucy, Max Rüdlinger, Casper Van Dien
IMDb Rating 7.9

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