«Posti temporaneamente non assegnabili. Ripetere la selezione». «Evento al momento non disponibile. Le vendite sono temporaneamente sospese o chiuse». «ERRORE! Funzione non implementata». Fino alle ancor più frustranti schermate «L’accredito indicato non è stato trovato», «Nessuna risposta dal server di biglietteria», oppure «Il tuo posto in coda non è più valido. Clicca il bottone posizionato qui sotto per prendere un nuovo posto in coda», dopo che magari nella coda virtuale si sono già passate inutilmente due o tre ore. Del resto, anche se il primo film deve ancora iniziare, per i dodicimila accreditati è come se fosse partita già da almeno tre giorni questa Mostra di Venezia edizione numero 79. Sicuramente da domenica mattina alle 7 precise, con i primi titoli d’accesso messi a disposizione online sul nuovo portale VivaTicket che sostituisce (per ora di molto in peggio) il troppo vituperato Boxol delle due precedenti edizioni, ma a ben vedere già da prima, già dal momento della comunicazione di una (doppia) procedura per prenotare e annullare i biglietti associati all’accredito già sulla carta farraginosa, divisa in due gruppi di sale con due differenti sistemi che non si parlano e che quasi sempre costringono a due distinte file virtuali prima di poter accedere alla sezione del sito, con i film ordinati secondo l’alfabetico dei titoli anziché per sale e proiezioni, inutilmente appesantita dalla scelta del posto (ormai inutile vista l’assenza di tracciamenti) quando sarebbe stato più che sufficiente assicurare l’accesso in sala, e in generale così anti-intuitiva e complicata da preannunciare già tutti i possibili bug e malfunzionamenti di uno straordinario epic fail internazionale. Il resto lo ha fatto un server dalla potenza insufficiente, che non riesce a reggere i pur prevedibilissimi dodicimila accessi contemporanei unico modo per sperare di accaparrarsi qualche titolo d’accesso prima che finiscano i posti, costringendo tutti a diversi tentativi inframezzati da attese eterne per rientrare nel sistema che costantemente si allungano a dismisura rispetto ai tempi preannunciati – «Benvenuto nella sala d’attesa. L’avanzamento della coda è in pausa». Tanto che se ne può approfittare per fare un passo indietro, per tornare alla Cannes dello scorso maggio, dove pure i primi due giorni di ticketing online avevano portato a ripetuti collassi del sistema. Dal terzo giorno, coincidente con l’inizio vero e proprio del Festival, il nuovo sito specifico per la stampa (e interno, senza piattaforme d’appoggio) ha però brillantemente risolto ogni problema, trasformando l’interfaccia in un orologio svizzero che ogni mattina permetteva a tutti di prenotare senza attese in una manciata di minuti, dimostrando (anche senza scomodare i vari Amazon, YouTube, Netflix, DAZN, ma pure un qualsivoglia sito porno che ha di sicuro ben più di dodicimila accessi in contemporanea senza alcun problema) da una parte come sia perfettamente possibile gestire una mole ancora maggiore di accreditati in maniera perfettamente funzionale, e dall’altra come sia altrettanto possibile mettere mano e aggiustare il tiro in corsa. Cosa che si spera riesca a fare quanto prima, come dalle parole cosparse di cenere di Roberto Cicutto (cui non fa eco il direttore artistico Alberto Barbera, ma non è questa la sede per aprire ulteriori polemiche su una dichiarazione poco felice1), anche la Biennale di Venezia, che non può diventare per gli addetti ai lavori (paganti, per giunta) una gara a chi ha la connessione più potente e il dito più veloce, o peggio ancora una pura lotteria per poter riuscire a lavorare mentre nelle sale inizieranno le proiezioni, proprio come pochi mesi fa ha perfettamente capito di non poterselo permettere Cannes. Anche perché a ben vedere, più ancora di altre volte e forse perfino troppo, è proprio a Cannes che vuole guardare questa Mostra, che tornerà finalmente al 100% della capienza senza più obblighi e restrizioni, che vedrà il ritorno festoso dei fan di fronte al tappeto rosso senza più orribili muri divisori antiassembramento, che cercherà in tutti i modi di dimostrarsi un grande festival, lustrini e trend topic compresi, al passo coi tempi a partire dalla Leonessa del manifesto che rende gender fluid il Leone veneziano. Fino quasi a dimenticare che Venezia non è un Festival. È, o per lo meno dovrebbe essere, una Mostra d’Arte organizzata nell’ambito della Biennale, che in quanto tale dovrebbe seguire vocazioni e criteri differenti, aprire il più possibile lo sguardo, cercare il più possibile opere in giro per il mondo, coltivare il più possibile talenti e autorialità distanti fra loro.
È in tal senso che la selezione ufficiale di questa edizione 2022, pur accatastando non certo pochi titoli e autori interessanti, sembra nelle sue smodate percentuali di film italiani, francesi e statunitensi molto più il programma di un Festival che quello di una Mostra. Con tre soli Paesi a fare oltre l’80% della selezione ufficiale, in mezzo a qualche sparuta rappresentanza asiatica, un solo africano, nessun tedesco, pochissimi sudamericani su cui pure la Mostra negli scorsi anni tanto aveva investito, un solo rumeno in Orizzonti, e per altri motivi nessun russo nemmeno se apertamente dissidente. Tanto che l’Iran, presentissimo con due film in concorso e uno in Orizzonti, sembra quasi una mosca bianca nella sua capacità di aver intercettato uno sguardo che puntava ben più deciso verso Occidente, e con un occhio più o meno fisso sul futuro catalogo Netflix. Poi certo, è facile per un cuore cinefilo sussultare aspettando la Marilyn Monroe Blonde di Ana De Armas con cui Andrew Dominik smonterà e ricostruirà ancora una volta il concetto di icona, il nuovo Un couple eccezionalmente di finzione dell’eterno Frederick Wiseman, ma anche il Rumore Bianco con cui in apertura Baumbach mette in scena DeLillo, i già (più o meno) citati Panahi e Jalilvand, il nuovo McDonagh, il nuovo Field, il nuovo Fukada, il nuovo Aronofsky, e ancor di più sconfinando nel fuori concorso i vari Walter Hill, Paul Schrader, Lav Diaz, la nuova serie di Refn e l’ultimo The Kingdom di Lars Von Trier poco dopo il triste annuncio del suo Parkinson. Perfino l’inaspettato regalo del Kim Ki-duk postumo, e soprattutto del lungamente aspettato Gli ultimi giorni dell’umanità con cui piangere ancora insieme a enrico ghezzi. Fino ai Classici restaurati, che non compongono in alcun modo una retrospettiva strutturata, ma non fa mai male rivedere capolavori come La farfalla sul mirino, Una gallina nel vento o I giocatori di scacchi. Per poi ancora, spostandosi per le sezioni autonome e parallele, essere pronti a sgomitare sul web per entrare al Padre Pio realizzato da Abel Ferrara perché «ogni spacciatore di Napoli ha una sua statuetta in casa» e assoluto colpaccio delle Giornate degli Autori, al Bentu con cui torna dietro alla macchina da presa Salvatore Mereu, ai nuovi lavori di Sébastien Lifshitz e Mark Cousins, e ancora all’intera selezione di opere prime della Settimana Internazionale della Critica, affidata ufficialmente dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani dopo l’interim dello scorso anno alla delegata generale Beatrice Fiorentino, dove sperare di trovare finalmente risolti quei limiti di sguardo che, fra un gran film e l’altro, emergono dalla lettura a scatola chiusa della selezione ufficiali. Perché Venezia, pur con tutti i suoi possibili limiti organizzativi e di rappresentanza geografica, è pur sempre Venezia. Il luogo dove nel 1932, 90 anni esatti fa, è iniziato tutto, dove è nato il concetto di kermesse cinematografica, dove per la prima volta un film ha iniziato a seguire l’altro, fra l’esposizione e la competizione. Un luogo dove è sempre bellissimo tornare, anno dopo anno, sempre più affezionati, dal ponte fino al Ferry, e poi al Lido. In fondo è proprio quando si vuole sinceramente bene che ci si sente in dovere di bacchettare quando qualcosa non va come dovrebbe. È uno sprone a migliorare, per mettere le cose a posto e per progredire sempre più, per essere ciò che la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, al di là dei singoli titoli che presenta, merita di essere. Le potenzialità, ovviamente, ci sono tutte. Il fascino e la Storia anche. Non può certo mancare la fiducia: i problemi di prenotazione verranno risolti e sarà una grande Mostra. Lo stiamo sperando tutti, anzi, ne siamo sicuri.
Marco Romagna