15 Agosto 2015 -

ERA IL MESE DI MAGGIO (1970)
di Marlen Khutsiev

Film televisivo girato da Khutsiev cinque anni dopo il suo capolavoro più acclamato (Ho vent’anni, 1965), Era il mese di maggio è l’unico film dell’autore russo ambientato nel contesto della guerra, spesso importante nei suoi film ma mai mostrata direttamente, e quindi sicuramente una delle visioni più importanti della sua filmografia (ri)scoperta a Locarno68. L’inizio, tuttavia, rivela in maniera non poco esplicita una natura apparentemente propagandistica dell’operazione, legata a quell’affermazione patriottica e leninista che Khutsiev stesso ha detto in una delle tante brevi interviste introduttive che abbiamo potuto vedere prima delle proiezioni dei suoi film in questi giorni: «se non fossi un regista avrei voluto essere stato un soldato».

E qui infatti vediamo illustrata una visione utopistica di un cameratismo sovietico fatto di scampagnate, inni in compagnia, divertimento. La guerra è ormai finita, è una cosa passata, è il momento di festeggiare e questi soldati lo fanno senza problemi mettendo da parte, dimenticando gli orrori a favore di una goliardia maschile e pacifica. Sorgono subito i dubbi: è giusto eliminare completamente il lato della violenza e della tragedia a favore di una rappresentazione psicologica e idealista dei rapporti umani nel periodo della “pace dopo la tempesta”? Non ci vuole molto prima che il regista stesso neghi questa concezione quasi bucolica dell’immediato dopoguerra con una virata nel drammatico angosciante: durante una scampagnata, i soldati si trovano in un campo di concentramento vuoto. Senza dirsi una parola, ne osservano ogni angolo, ogni parete e rimangono angosciati. Le loro ombre che si allontanano dall’Inferno abbandonato sono accompagnate da un drammatico silenzio tombale, con il quale appare la scritta: Era il mese di maggio, parte seconda. Sono finiti i giochi e le pastorali militaresche, è arrivato il fantasma della memoria, che sostituisce il festeggiamento e tramuta un film-ballata in un film-requiem. Il resto dell’opera è un incedere silenzioso e lento, che mostra soldati nei campi combattere con i propri fantasmi, ma non è una lotta a pugni alzati, anzi è una battaglia deprimente e depressa. Khutsiev non punta più ad un commento generazionale né ad un tentativo di piegare il tempo (nonostante le due vittime erranti che appaiono verso la fine possano essere spiriti, come il padre del protagonista di Ho vent’anni), preferendo una destrutturazione dei topoi del film di guerra, narrando gli orrori con una concezione più vicina a quella del presente (suo e nostro) che a quello del passato, ovvero come una questione di ricordo e non di inimicizia primitiva. Non ci sono più né eroismo né amicizia, solo il cupo e mastodontico macigno del nazismo, una forza della Storia che è riuscita nell’impossibile: il corrompere anche la natura. In una delle scene conclusive, viene detto che le ceneri degli ebrei sono state usate dai nazisti come fertilizzante nei campi. Un fuggitivo teutonico (che il russo lo parlicchia) cerca un contatto con la moglie e il figlio morti passando tra le spighe, piangendo sotto la pioggia. La figura del suo corpo è cadaverica, immobile, sudaticcia.

E poi il finale, che in quasi tutti i film dell’autore russo è la vera e propria implosione di ogni inquadratura vista precedentemente: con in sottofondo musica classica dalla forte valenza drammatica, vengono mostrate immagini di repertorio dei campi di concentramento alternate a filmati della gente per strada a Mosca. Gli individui, che ricordino o non ricordino, campano grazie a chi è morto e ha sofferto e camminano sulla terra concimata a partire dai loro resti. I bambini di quel presente ridono, piangono e camminano grazie ai bambini di quel passato che morivano di fame. E il sovrapporsi delle foto, illustrativo e intenso come un film di Chris Marker, ricorda per enfasi melodrammatica il montaggio di Ejsenstejn, tra una citazione (forse involontaria) a Persona (1966) di Bergman e un’ultima inquadratura talmente pregna di maldestra innocenza da essere nel contempo agghiacciante e commovente.

Nicola Settis

“It Was in May” (1970)
115 min | Drama, War | Soviet Union
Regista Marlen Khutsiev
Sceneggiatori Grigory Baklanov
Attori principali Aleksandr Arzhilovsky, Pyotr Todorovskiy, Sergey Shakurov, Viktor Uralskiy
IMDb Rating 8.1

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