11 Agosto 2015 -

FRAGMENTS DU PARADIS (2015)
di Stéphane Goël

Il film di Goël è definibile come una serie di volti in bianco e nero di persone anziane che rispondono a domande su di una delle più grandi incognite esistenziali immaginabili, ovvero l’esistenza dell’Aldilà. Ma non è solo quello: Goël mostra anche se stesso andare col padre in età avanzata a giro per le montagne, parlando con lui di senso della vita e senso della morte. Nel primo giorno di Locarno68 in cui non regnano né l’afa né la pioggia, ma bensì un sacrosanto venticello, le proiezioni di Fragments du Paradis di Stéphane Goël e di No Home Movie di Chantal Akerman sono pericolosamente vicine. I due film hanno un contenuto simile, trattando la morte da vicino, dialogando con chi sta per affrontarla, ma la differenza è essenziale: la Akerman ha un tatto e una coerenza tali da essere adatti a dialogare con l’immagine in una maniera abbastanza sensibile da non rendere pacchiano o offensivo un discorso esistenziale, l’anonimo Goël assolutamente no.

Si naviga nella retorica di piombo della video-inchiesta di Internet. I volti scavati dal tempo di vari personaggi disparati narrano le proprie vicende, le proprie opinioni, i propri sogni. Ogni scusa è buona per tramutare la tragedia della fine della vita in una farsa e questo ce l’hanno insegnato in molti ambiti audiovisivi, ma il film qua è suddiviso in due parti che si sfidano per qualità. La galleria di anziani è quella che occupa più tempo nell’ora e mezza scarsa dell’opera e, inevitabilmente, mostrando decine e decine di individui con personalità diverse, dovrebbe essere un bene. Non è così. Goël ha scritto delle frasi per i propri intervistati o se ha scelto tante persone simili? Non ci è dato saperlo. Ma basta poco per riconoscere uno schema che si ripete: “la morte è brutta ma la vita c’ha comunque i suoi problemi, ho paura di cosa c’è dopo, forse non c’è niente, forse c’è qualcosa e se c’è è qualcosa di bello”. E, soprattutto, “viva Dio”. Il Dio cristiano unico e insostituibile che anzi porta due vecchie sorelle ad insultare l’intervistatore che invece di chiedere loro se credono in Dio chiede se credono negli Dei. Un documentario così teoricamente coraggioso dovrebbe mostrare nella sua completezza un’idea di libertà ma soprattutto di coralità, di differenza, e di vero dramma. Non vi è emozione o tristezza negli occhi di queste persone, che recitino o enuncino le proprie vicende personali nella vita reale, perché quello che dicono non va da nessuna parte. L’autore cerca una morale, piuttosto che una domanda a cui (non) dare una risposta, ma finisce per ottenere l’effetto contrario. Costoro continuano a chiacchierare dei propri lutti e delle proprie fisime mentali con il ritmo e la cadenza di un borioso requiem senza fine, introducendo qua e là spunti umoristici che sono, più che altro, offensivi e degradanti nei confronti proprio della morte che tanto sembrano agognare. Le risate in sala aumentano di decibel in una spirale voraginosa di degradante humour nero come la pece che invece di creare satira crea disagio, deformando e facendo collassare in maniera definitiva la figura del vecchio saggio che tutti hanno usato almeno una volta come riferimento. Il risultato conclusivo sembrerebbe quello di un film puramente teorico andato in cagnara a causa di uno stile più vicino a quello dei video YouTube come First Kiss, ma il film non si esaurisce tra le rughe b/n di questa galleria di retorica.

Appunto, c’è Goël stesso che porta il padre tra le montagne ponendogli domande simili a quelle del resto del film. Il problema principale è forse il pretesto della montagna, che rende ancora più impersonale un cinema dialogico che, nella forma del documentario, dovrebbe essere tutt’altro. Scompare assolutamente la necessità del regista/uomo di imporre al padre l’idea del film per dare posto ad un finto dialogo che non è assolutamente filiale né paterno ma retorico fino al midollo. Cos’è che vince alla fine? La bellezza di un paesaggio, la bellezza dell’essere umano, la bellezza dell’emozione. Ma questa bellezza si esaurisce in uno sguardo che non è onesto, una visione da cartolina dell’esistenza. Fragments du Paradis è qui che trova il proprio limite, che causa problemi (eufemismo) per l’intera sua durata: la sua bellezza non è bella, la sua sincerità non è credibile, le sue immagini sono troppo democratiche e ferme, le sue domande sono troppo risolte e le sue risposte sono troppo vaghe. E lo sguardo dell’anziano, per quanto possa essere intenso per motivi personali, non completa lo sguardo di uno spettatore che dovrebbe commuoversi ma finisce per sentire una versione più banale delle fisime mentali che sente ogni giorno in ogni dove; sì, perché ormai la morte è un fenomeno pop e l’Aldilà la sua diretta conseguenza, e la maniera migliore per capire quanto ciò sia sbagliato è ammirare come Goël abbia ipnotizzato le sue anziane marionette a favore di un buonismo insopportabile e reazionario.

Nicola Settis

“Fragments du Paradis” (2015)
85 min | Documentary | Switzerland
Regista Stéphane Goël
Sceneggiatori Stéphane Goël, Claude Muret
Attori principali N/A
IMDb Rating N/A

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