6 Luglio 2015 -

THE MEMORY OF JUSTICE (1976)
di Marcel Ophüls

La sola descrizione di The Memory of Justice (1976), presentato al festival del Cinema Ritrovato di Bologna 2015, lo dimostra come un film complesso, impegnativo e ambizioso, che richiede dallo spettatore il massimo della pazienza e dell’attenzione: è, difatti, un coraggioso documentario di quattro ore e mezza suddiviso in due parti sul processo di Norimberga. Con un susseguirsi di interviste a figure di spicco in ambito nazista, comprese persone coinvolte nel processo (i più clamorosi: Karl Dönitz e Albert Speer), Marcel Ophüls, figlio del grande Max, regista tra gli altri di Lettera da una sconosciuta (1948), costruisce un ritratto tragicamente oggettivo degli eventi ricostruendoli “col senno di poi” grazie alle testimonianze dei nazisti e delle vittime dei campi e a introspezioni nel passato.

Il film è suddiviso in due parti: mentre la prima è prettamente una ricostruzione storica, la seconda parte dagli eventi per mostrare altro e dedicarsi a riflessioni politiche che trascendono Norimberga. La cosa più interessante della prima parte non è proprio il comparto stilistico, che segue le convenzioni del documentario storico mischiando interviste nel presente di Ophüls a filmati di repertorio, quanto l’approccio del regista, che salta da un punto all’altro della “narrazione” senza spiegare i collegamenti, semplicemente facendo fluire le cause e le conseguenze nella direzione che preferisce. Lo scopo ultimo? Costruire una verità oggettiva costituita da vari punti di vista (come nei migliori film di Frederick Wiseman, che però ha un approccio diverso in quanto preferisce mostrarsi come osservatore programmatico e diretto) in cui l’umanità collettiva è costituita da un collage di esseri umani spesso alienati, ironicamente fino al disumano. E quello che sembra interessare a Ophüls, più che gli eventi storici che analizza in tutta la loro complessità, è la fauna umana che circonda gli eventi, che circonda la storia, o per meglio dire la Storia, i rapporti causa-effetto. Per approfondire il lato più umano della vicenda e rendere più espressiva la tragedia della guerra e del conflitto, Ophüls amalgama fluidamente all’opera scene più intime e distaccate, con discussioni sullo scopo del documentario e sull’utilità storica del processo di Norimberga in contesti apparentemente sconnessi: la famiglia dello stesso regista, un gruppo di studiosi di cinema, persone che puntano alla ricerca di sé stessi in sauna, o anche intermezzi di lunghi viaggi in macchina per la Germania (alla ricerca dei dottori, su tutti Karl Brandt, che facevano gli esperimenti sugli esseri umani a Dachau, Auschwitz e altrove e che applicavano il programma eutanasia Aktion T4 di propria spontanea volontà) con in sottofondo musiche allegre e fuori contesto, quasi a confermare l’astrazione del cinema rispetto alla tragedia umana nel momento dell’assenza di didascalismo documentaristico. Ma quando questa ritorna, c’è l’incredibile: per esempio tra le scene più sconvolgenti v’è senza dubbio il continuo frapporsi nel montaggio del volto e della voce di uno stizzito e nervoso Dönitz che, davanti ad un Ophüls, che evidentemente reprime la rabbia, indugia nelle più patetiche menzogne, negando ogni responsabilità rispetto ai campi di concentramento, mentre gli vengono dette in faccia sue stesse citazioni che lo contraddicono nella maniera più palese. E il campo di concentramento è la fermata necessaria definitiva nel disastroso percorso che porta dalla concezione del nazionalsocialismo al processo di Norimberga: nel film si fa più volte riferimento al filmato dei campi di concentramento mostrato al processo stesso (Cruelties of the German-Fascist intruders, proiettato il 19 febbraio 1946) per mostrarne la disgustosa brutalità, e ne vengono mostrati alcuni spezzoni con la freddezza necessaria di una documentazione spietata. È come se Ophüls usasse il potere delle immagini del documento dell’epoca come ulteriore testamento del potere delle immagini, rinforzando la prepotenza concettuale della propria opera.

Il crimine di guerra, da punto cruciale del processo (e quindi necessariamente del film), diventa punto focale di una riflessione concettuale che supera i legami geometrici e causalistici degli eventi della seconda guerra mondiale e del terzo Reich: la responsabilità collettiva (della nazione/del popolo), concepita quasi come nei poemi omerici, contro quella della responsabilità individuale. E se i nazisti sono proprio come gli Achei, nella corte di Alcìnoo il vero Odisseo è senza dubbio Hermann Göring, descritto da tutti come un intelligente e fiero condottiero dall’inarrestabile umorismo macabro. E lui è solo uno dei protagonisti nell’agghiacciante mosaico della seconda parte del film, genialmente intitolata Norimberga e altri luoghi: infatti qui Ophüls stacca parzialmente l’attenzione dal processo spostandosi anche sulla guerra nel Vietnam, su un coraggioso paragone tra la condotta dell’esercito statunitense e quello teutonico, con testimonianze, a volte emozionanti e a volte puramente grottesche, di veterani, pseudo-fuorilegge di guerra, vedove repubblicane con folli teorie sul perché in realtà gli U.S.A. avrebbero vinto la guerra che gli appassionati di cinema amano ricordare come “quella di Apocalypse Now e Full metal jacket”. E qui l’intimismo accennato nella prima parte diventa ancora più universale e agghiacciante quando Ophüls mostra filmati d’epoca anche delle famiglie dei generali nazisti che intervista mostrandone anche il lato più affascinante. In particolare Speer ne esce fuori quasi come un finto eroe romantico, anche se al regista preme mostrare il suo pentimento poco credibile contrapposto alla disperazione di chi è stato vittima delle sue decisioni.

Riassumendo, The memory of justice è un clamoroso recupero, un documento storico di importanza mastodontica ed una riflessione sulla Storia e sul significato del concetto dell’individualismo nel fenomeno politico più violento dell’Europa novecentesca. Con esso, Ophüls costruisce un vero e proprio monumento alla memoria in immagini, un’opera adatta alle aule scolastiche e una dimostrazione palese del rapporto tra la vita e il cinema documentaristico, tra il bene relativo e la banalità del male, tra conflitto e conflitto.

Nicola Settis

the-memory-of-justice

“The Memory of Justice” (1976)
278 min | Documentary, War | UK / USA / France / West Germany
Regista Marcel Ophüls
Sceneggiatori Marcel Ophüls
Attori principali Joan Baez, Karl Dönitz, Edgar Faure, John Kenneth Galbraith
IMDb Rating 8.4

Articoli correlati

L'AGNESE VA A MORIRE (1976), di Giuliano Montaldo di Massimiliano Schiavoni
Conner's Crossroads and the Exploding Digital Inevitable, Riflessioni su Bruce Conner dopo la conferenza dell'archivista Ross Lipman a Rotterdam di Erik Negro
NEL CORSO DEL TEMPO (1976), di Wim Wenders di Nicola Settis
LA CASA DALLE FINESTRE CHE RIDONO (1976), di Pupi Avati di Massimiliano Schiavoni
ECCO L'IMPERO DEI SENSI (1976), di Nagisa Oshima di Marco Romagna
LETTERA AL PRESIDENTE (2013), di Marco Santarelli di Erik Negro