29 Novembre 2019 -

WHEN THE PERSIMMONS GREW (2019)
di Hilal Baydarov

In un piccolo villaggio dell’Azerbajan, una madre aspetta suo figlio. Il continuo ticchettio dell’orologio determina il ritmo della sua vita mentre fissa le vecchie foto in bianco e nero sul muro. Fuori i cani abbaiano e un’auto viene trascinata da tre buoi, c’è silenzio. Come ogni estate, il regista Hilal Baydarov e suo fratello si riuniscono alla madre che è rimasta sola nella casa di famiglia. È la stagione del raccolto di cachi: il ricongiungimento familiare è felice, ma fin troppo breve. Non appena i frutti vengono raccolti ed essiccati, tutti ripartono e l’inverno inizia gradualmente. La prima parte del film è composta principalmente da riprese della madre del regista, e della vita tranquilla che conduce nel villaggio: fa passeggiate e osserva il ruscello che è vicino casa, vede passare i treni in mezzo alla campagna, guarda vecchie fotografie in bianco e nero. In questa casa il tempo è ancora regolato dai ritmi della terra e della natura che è intorno, e Baydarov evoca soprattutto la solitudine che sua madre affronta ogni giorno della sua vita. Il regista azero è affascinato dal mistero dei gesti, filma il corpo della madre come una sorta di sublime coreografia del quotidiano. È un film sulla bellezza dei piccole cose che vediamo ogni giorno: la luce del sole che entra da una finestra, il fumo di sigaretta che fluttua nell’aria, le minuscole crepe del pavimento in legno all’interno della casa, le piante che ondeggiano al vento, il ticchettio dell’orologio sul muro.

When the Persimmons Grew, ovvero “Quando i cachi sono cresciuti”. Gli abitanti del villaggio si riuniscono per raccoglierli ancora acerbi, li puliscono e li sbucciano tutti insieme, poi li mettono ad essiccare. Mentre la famiglia si riunisce, la casa si rianima e il racconto si fa sempre più intimo. Baydarov fa lunghe passeggiate con la madre, discutono della terra, della diversità degli animali rispetto agli umani, sulla bontà o sulla cattiveria di una persona, o sul passare delle stagioni in patria e all’estero. Fino al ritorno del silenzio, del freddo e della solitudine. Baydarov ci racconta come la casa dove è cresciuto sia l’unico posto dove puoi sentire il passare del tempo, ed è lui stesso a dirlo esplicitamente in una delle conversazioni filosofiche, apparentemente estrapolate da un flusso infinito di parole mai dette, che intrattiene con la madre. L’autunno qui nel villaggio si riconosce dal colore delle foglie, mentre l’inverno lo si vede arrivare. La madre non capisce più di tanto il figlio, lei è abituata a questo tempo e lui non più, vive in città a Baku e i due discutono dei due mondi che sembrano tanto distanti. Sua madre lo interrompe spesso, e lui si irrita, e i due quasi litigano. Con tutti i sentimenti ambivalenti del regista verso la casa dove è cresciuto: da un lato la rimpiange, dall’altro ne è distante. Un sentimento forse universale che tutti noi proviamo verso la casa della nostra infanzia e della nostra famiglia, come la Schabbach di Reitz, come le nostre città o i nostri villaggi in cui, ogni volta che torniamo, proviamo sentimenti molto personali e spesso rivelatori.

When the Persimmons Grew, presentato nell’Internazionale di TFFdoc al 37mo Torino Film Festival dopo aver ottenuto due riconoscimenti da Visions du Réel a Nyon e il premio Heart of Sarajevo per il miglior film documentario al Sarajevo Film Festival, con in mezzo la prima portoghese al DocLisboa e quella austriaca alla Viennale, è un film orgogliosamente fuori dal tempo che sfugge a qualsiasi tentativo di categorizzazione. È un film che non esiste più, discendente diretto della più nobile tradizione caucasica del sovietico Paradžanov e ancor di più dell’armeno Malyan, che consapevolmente gioca solo con le regole della bellezza dell’intimità. Un sublime miracolo cinematografico di attese, ricongiungimenti, riflessioni e nuove separazioni, profondamente filosofico e ostinatamente poetico nel suo immobilismo, nelle sue immagini, nel suo alternare silenzi e parole, emozioni e avvicinamenti esistenziali, suoni rurali e inquadrature modulari che sempre, come la solitudine e il silenzio, torneranno a ricoprire come una coltre di neve i prati e le campagne. Baydarov offre così la sua versione di un ritorno alle radici, esplora come pochi altri cosa significa “tornare a casa”, ci mostra il suo di sentimento straziante e straziato per aver abbandonato la sua terra, la sua famiglia e il luogo in cui è cresciuto. Fino al prodigioso immergersi in una bolla recondita e spirituale fatta solo di vita e di sentimento, di appartenenza e di tenerezza, di affetto e di confidenza, in cui tutti gli sconvolgimenti del mondo rimangono all’esterno mentre dentro c’è spazio solo per l’amore intimo e doloroso di una famiglia. Questo luogo, questa casa fanno comprendere a Hilal Baydarov che il tempo è diverso, come il presente può per un attimo non esistere, e come il tempo perduto può rivivere – in un incontro, in un abbraccio, in un film. Un tempo che permette all’orologio sul muro di farci sentire i battiti del nostro cuore, aspettando che arrivi una nuova stagione dei cachi. In cui ritrovarsi e commuoversi, ancora.

Claudio Casazza

“When the Persimmons Grew” (2019)
118 min | N/A | Azerbaijan / Austria
Regista Hilal Baydarov
Sceneggiatori Hilal Baydarov
Attori principali Maryam Naghiyeva
IMDb Rating N/A

Articoli correlati

LA PELLE DEL TEMPO (2019), di Salvo Cuccia di Marco Romagna
UN FILM DRAMATIQUE (2019), di Eric Baudelaire di Erik Negro
KONGO (2019), di Hadrien La Vapeur e Corto Vaclav di Marco Romagna
SPACE DOGS (2019), di Elsa Kremser e Levin Peter di Nicola Settis
GUNS AKIMBO (2019), di Jason Lei Howden di Nicola Settis
RESURREZIONE (2019), di Tonino De Bernardi di Erik Negro