Per la settantatreesima volta, intere schiere di cinefili da ogni parte del mondo si ritrovano al Lido di Venezia per la più longeva e storica fra le manifestazioni cinematografiche. E Venezia, per quanto ci si possa girare intorno e si possano enumerare i problemi di un Festival che non riesce a ritrovare la leadership mondiale che vorrebbe e meriterebbe, è sempre Venezia. Una città unica al mondo, forse la più bella, gli arrivi in motoscafo, le poltrone della Sala Grande e il Palagalileo diventato prima Palalido e da qualche anno Sala Darsena, oppure la terza fila della Sala Perla per le proiezioni stampa serali. Quella che si profila per le prossime due settimane sarà un’edizione sulla carta, sempre in attesa che siano le luci spente in sala a dare conferme e smentite, nettamente superiore alle previsioni, forte di una selezione capace di concentrare, in un’annata in media non particolarmente felice e prolifica, buona parte dei migliori possibili fra i nomi papabili. A partire da Terrence Malick, che presenterà al Lido la versione lunga – quella da soli 40′ in IMAX giungerà solo successivamente nelle poche sale mondiali attrezzate alla proiezione 70mm a scorrimento orizzontale – del suo Voyage of time, per passare a Lav Diaz, al secondo film dell’anno dopo il premio a Berlino, a Wang Bing, ad Andrej Konchalovsky, a Pablo Larraìn, a Sergei Loznitsa, ad Amir Naderi, a Andrew Dominik, a Kim Ki-duk, ad Ana Lily Amirpour, fino al duo belga Peter Broesens-Jessica Woodworth. A rappresentare l’Italia, oltre a Giuseppe Piccioni, Roan Johnson, Gabriele Muccino, Francesco Munzi e Kim Rossi Stuart, l’attesa è massima per Spira Mirabilis, nuovo lavoro del duo di documentaristi Massimo D’Anolfi e Martina Parenti piazzato, non senza coraggio, nel Concorso principale.
Piuttosto, a far storcere un po’ il naso, sono state nei giorni scorsi le dichiarazioni – smentite dal direttore artistico Alberto Barbera con un quantomeno inelegante balletto via Twitter – di Emir Kusturica, pronto in sostanza a dichiarare che il suo On the milky road sarebbe in concorso a Venezia come semplice ripiego dopo il rifiuto di Cannes, per poi rincarare lanciandosi in pubblici encomi nei confronti di Vladimir Putin che tanto imbarazzo hanno destato nelle stanze lidensi. Ma non è questo il punto, il gossip ci è sempre interessato poco, e così le dichiarazioni anche quando agghiaccianti: riteniamo che siano gli schermi a dover parlare. Schermi che si illumineranno delle luci di Ozon, di Villeneuve, di Wim Wenders prodotto da Paulo Branco, dando però spazio probabilmente immeritato anche a un Ulrich Seidl che già siamo convinti non mancherà di dimostrarsi ancora insopportabilmente cinico e altezzoso, o a due puntate su dodici – il che ci lascia in bocca il sapore amaro della semplice marchetta, quindi preferiremo aspettare di poterla vedere integralmente – di The young pope, serie Sky scritta e diretta da Paolo Sorrentino. Dall’apertura con La La Land di Damien Chazelle in poi, si alterneranno sugli schermi mondi e paesi, immaginari e linguaggi, mentre fuori dalle sale aumenteranno esponenzialmente – e vista l’annata era pienamente prevedibile – i controlli di sicurezza, con un dispiegamento di forze di polizia mai visto in precedenza nelle vie antistanti il Palazzo del Cinema.
A latere, verrà consegnato il Leone d’Oro alla carriera al Maestro polacco Jerzy Skolimowsky, lo scorso anno al Lido con il meraviglioso 11 Minut, mentre verranno presentati i restauri di assoluti capolavori da Stalker di Tarkovsky a La Battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo, passando per la Manhattan di Woody Allen e I sette Samurai di Kurosawa, fino alla versione europea, presentata da Dario Argento, degli Zombi di Romero. Ma Venezia va ben oltre le selezioni ufficiali: è infatti la SIC, Settimana Internazionale della Critica da quest’anno sotto la direzione generale di Giona Nazzaro, di gran lunga fra le sezioni più interessanti dell’intera kermesse, pronta a snodarsi fra opere prime e seconde di tutto il mondo, dalla Malesia alla Colombia, passando per il Qatar. Quella che si profila al Lido è insomma un’edizione tutta da gustare, incapace di dare un senso alla ricerca che non viene compiuta dalla sezione Orizzonti ma ancora in grado di selezionare e ospitare bei film, probabilmente troppo tesa a un glamour che non riesce a raggiungere (vedasi la quantità pantagruelica di film statunitensi) ma ancora capace di farsi valere nel momento in cui un big mondiale ha un film pronto da presentare. Si vedrà il meglio, quella che sarà la stagione cinematografica autunno-inverno, si vedrà il peggio, quello che finirà nel dimenticatoio, o nei sorrisi di plastica della notte degli Oscar. Fra meno di due settimane, con ore e ore di immagini in corpo, scopriremo chi la giuria presieduta da Sam Mendes riterrà meritevole, gioiremo e ci innervosiremo per i premi, e dopo pochi giorni ce li saremo dimenticati. Come sempre, perché quello che rimane (o non rimane) sono i film. E basta. Il resto sarà polvere sui nostri ricordi, a cui ripenseremo in futuro con qualche sorriso. Perché è sempre bello essere qui.
Marco Romagna