7 Agosto 2019 -

72° Locarno Film Festival_7-17 Agosto 2019_Presentazione

As I Was Moving Ahead Occasionally I Saw Brief Glimpses of Beauty, diceva di se stesso Jonas Mekas quando, nel 2000, scelse il titolo per i 288 straordinari minuti che condensavano oltre 30 anni di ricordi privati, esperimenti con la Bolex, sguardi, emozioni, tenerezze, sincerità e affetti. Sempre “andando avanti” nella direzione della sua vita, con l’obiettivo della fedele 16mm sempre puntato alla ricerca di istanti, scorci, “sprazzi di bellezza”. Quella stessa ricerca che è e deve essere lo spirito più importante del Festival di Locarno, kermesse centrale nel suo lavoro pluriennale sui linguaggi, sui tentativi, sui giovani autori da scoprire e far crescere. Quella stessa ricerca più volte tirata in ballo e ripetuta come parola d’ordine di continuità, fra i sospiri di sollievo di tutti gli addetti ai lavori, dalla neodirettrice Lili Hinstin, subentrata a Carlo Chatrian nel frattempo passato in sella alla Berlinale. Certo, nel ricchissimo programma ci sono – e ci devono essere – anche il pop e il mainstream delle serate di gala sullo schermo gigante di Piazza Grande, c’è anche il Concorso Internazionale che media fra le varie possibili anime senza dimenticare di mettere sul piatto autori del calibro di Pedro Costa, Koji Fukada e João Nicolau, ci sono anche le retrospettive e gli omaggi che attraversano la Storia del Cinema nelle sue infinite declinazioni, ci sono anche i fuori concorso e ci sono anche i cortometraggi. Ma è nelle idee, nelle urgenze e in un costante studio approfondito delle cinematografie meno battute che sta il vero cuore del Festival di Locarno, quella sua fondamentale capacità di cercare e valorizzare, quel suo respiro di libertà e di multidirezionalità di sguardo che sin dall’era Müller lo distacca dai lustrini e dalle passerelle (spesso blindate) per vip dei Festival maggiori rendendolo un qualcosa di diverso e probabilmente ancora più prezioso, una reale opportunità di scoperta e di confronto, la possibilità di essere testimoni della nascita e dello sviluppo di un altro cinema ancora in grado di guardare avanti, di rinnovarsi, di osare. Sta tutto in Cineasti del Presente e nei Pardi di domani, con le loro opere prime e seconde, e soprattutto sta tutto nella sezione che più sa azzardare, appunto, nella ricerca, in quella ormai ex “Signs of Life” ribattezzata da quest’anno “Moving Ahead” per un omaggio a Mekas che contiene al suo interno tutto l’intento programmatico su cui si (continua a) muov(er)e la direzione artistica, tutto il senso più profondo dell’appuntamento cinefilo di ogni agosto in Canton Ticino. Un qualcosa che si temeva di poter perdere, e che invece, per lo meno nelle intenzioni e in attesa del buio della sala, torna rinnovato per “andare avanti” sullo stesso sentiero. Con i nuovi lavori di Erik Baudelaire, di Ben Russell, di Anocha Suwichakornpong (doppio impegno per la regista thailadese, uno in co-regia con Ben Rivers e l’altro con Tulapop Saenjaroen), e soprattutto con l’eterno Jean-Claude Rousseau che ricorda commosso Chantal Akerman. È il sentiero di una sempre eccezionale occasione formativa, che dopo due anni di un potenzialmente pericoloso appellativo generico come Locarno Festival torna per iniziativa esplicita della direttrice a brandire orgogliosamente la parola Film al centro del suo nome, come per fugare ogni dubbio, come per ribadire la sua natura e la sua strategica importanza nella ricerca cinematografica, come per confermare la sua assoluta centralità culturale.

Non saranno solo le macchie del tradizionale Pardo a colorare l’edizione numero 72 del Festival di Locarno. Ad accompagnare l’esordio alla direzione artistica di Lili Hinstin e del suo nutrito gruppo di lavoro ci sarà anche il rosa dei Pink Flamingos di John Waters, con quella che è la figura cardine dell’indipendente, del provocatorio, del disgustoso e del kitsch/trash finalmente omaggiato con il Pardo d’Onore e la proiezione di sei lungometraggi (dalle apparizioni dell’icona queer Divine fino all’imperdibile Polyester presentato in odorama, passando per la Crazy Midnight del graffiante Cecil B. Demented) dopo una carriera passata fra l’underground e la sottovalutazione critica. Ci sarà anche il rosso – sangue – di Song Kang-ho, attore feticcio di Bong Joon-ho e Park Chan-wook premiato con l’Excellence Award e il grannde schermo per Sympathy for Mr. Vengeance e Parasite. E ci sarà ovviamente il nero della retrospettiva (non solo) afroamericana Black Light, subentrata all’ultimo con la sua enorme mole di oltre 50 titoli dopo la necessità – per colpe non imputabili al Festival ma a sopraggiunti problemi con le copie e con altri impegni di Julie Andrews – di rinviare all’anno prossimo quella organizzata da Roberto Turigliatto su Blake Edwards. Ci saranno poi i colori saturi della dolcissima ossessione cinefila tarantiniana di Once upon a time… in Hollywood, pronto alla première svizzera sui colossali trecentottanta metri quadri dello schermo della Piazza, ci saranno quelli più slavati del Kiyoshi Kurosawa del nuovo e attesissimo To the Ends of the Earth in prima internazionale pochi mesi dopo l’uscita in Giappone, e ci sarà pure, come sempre necessario ripasso della Storia del cinema, il bianco e nero di Bela Tarr con le sette ore restaurate del suo capolavoro Sátántangó. Così come ci sarà l’omaggio a Enrico Ghezzi e alla sua magnifica e ossessionata utopia fra frammenti di cinema, atto del guardare, spazio e tempo, e ci saranno, fra lunghi e corti, i nuovi lavori di Giovanni Cioni, Denis Côté, Mauro Herce, Yuri Ancarani, Ulrich Köhler (con Henner Winckler), Fabrice du Welz, Yorgos Lanthimos, Nicolás Pereda (con Gabino Rodríguez), Park Jung-bum e Marie Losier. Ci sarà poi il Diego Maradona di Asif Kapadia, ci sarà la Lettre à Freddy Buache di Godard, e chissà quante saranno, lungo il sentiero battuto da Lili Hinstin sulle tracce della tradizione di ricerca locarnese, le sorprese destinate a colpire, sorprendere, crescere, entrare nel cuore. Saranno undici giorni di visioni, di incontri, di apparizioni, di illuminazioni che emergono, con la magia dei ventiquattro fotogrammi al secondo, dal buio quasi assoluto delle sale. Saranno undici giorni di scoperte, di immaginari, di film, di sguardi, di modalità di raccontare. Saranno undici giorni di confronti culturali, di umanità, di scambi, di momenti. Saranno undici giorni di Locarno Film Festival, sempre diverso eppure, per fortuna, sempre se stesso. Una kermesse cinematografica fatta di passione, di interesse, di magnifiche ossessioni, di quella ricerca che ormai, in maniera sempre più drammatica, Cannes e Venezia ormai vittime della propria stessa grandezza e troppo impegnate a farsi la guerra a vicenda per avere un proprio sguardo che sappia uscire dai confini dei “soliti noti” parrebbero non sapere o per lo meno non volere più fare. As I Was Moving Ahead Occasionally I Saw Brief Glimpses of Beauty, diceva di se stesso Jonas Mekas. Non ci resta che fare tesoro del suo insegnamento, capirlo, introiettarlo, viverlo. Nutrircene. Sempre alla ricerca di occasionali sprazzi di bellezza. Sul Lago Maggiore, ogni inizio d’agosto da ormai 72 anni, ne passano parecchi. Basta aprire gli occhi e il cuore, pronti per farli ancora una volta propri.

Marco Romagna

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