70. Berlinale – Internationale Filmfestspiele Berlin_20 Febbraio-1 Marzo 2020_Presentazione
Si presenta un po’ come una paradossale proporzionalità inversa, l’edizione numero 70 della Berlinale. Un’edizione di cambiamenti in larghissima parte positivi dopo l’ultimo asfittico anno firmato da un Dieter Kosslick ormai privo, al termine del proprio ventennio, di ulteriori frecce al proprio arco, ma anche di problemi e disagi del tutto inaspettati in quella che era sempre stata la perfetta efficienza teutonica. Appena prese in mano le redini, Carlo Chatrian e il suo gruppo già locarnese di lavoro hanno puntato sulla necessaria riduzione del numero dei film e sulla cancellazione di intere sezioni da sempre inutili, portando per lo meno sulla carta non solo un’impennata qualitativa netta ed evidente, ma anche quello sguardo sul cinema che potrebbe finalmente rendere meno incolmabile – dopo i fasti del 2015 e il progressivo e costante calo delle edizioni successive – la distanza di Berlino da Cannes e Venezia. Il concorso principale, in attesa dei verdetti della giuria capitanata da Jeremy Irons, pare tornato finalmente di primissimo livello con i vari Philippe Garrel, Kelly Reichardt, Tsai Ming-liang, Rithy Panh, Hong Sangsoo, Christian Petzold, Abel Ferrara e Khrzhanovsky figlio, Berlinale Special aprirà con Jia Zhangke e chiuderà con le sei ore di Dau, mentre la retro principale ritornerà al cinema sublime di King Vidor. Parallelamente, non ci saranno più NATIVe e Culinary Cinema, la troppo vasta Panorama è stata finalmente ridimensionata, mentre quella che per tipo di ricerca negli anni scorsi sarebbe probabilmente stata una parte del Forum (straordinaria la retrospettiva che per festeggiare i 50 anni della sezione indipendente ripercorrerà i passi della sua prima edizione, imperdibili i nuovi Radu Jude, Kluge e La casa dell’amore di Luca Ferri, un po’ meno l’indelicatezza “politica” con cui pare che la nuova direzione stia cercando dopo mezzo secolo di emarginare l’ingombrante inquilino organizzato dal Kino Arsenal) è diventata selezione ufficiale con la creazione della nuova Encounters, in cui troveranno posto fra gli altri Cristi Puiu, Heinz Emigholz e Victor Kossakowsky. Come è una novità logistica sicuramente gradita l’inaugurazione della nuova sala stampa, finalmente grande e confortevole, a sostituire il sostanziale sgabuzzino che veniva ricavato nel ventre del Palast.
Nel frattempo, però, la disfatta di quel progetto di riqualificazione ultracapitalista voluto proprio dove sorgeva il Muro con la chiusura per fallimento del CineStar del Sony Center di Potsdamerplatz, fondamentale con le sue otto sale che permettevano di non dislocare troppo una kermesse ora necessariamente traslata anche su Alexanderplatz e sullo Zoo, costringerà gli accreditati a spostarsi molto più del solito avanti e indietro per Berlino proprio durante la chiusura temporanea (solo in direzione Ruhleben, mentre verso Pankov è regolarmente aperta) della più vicina stazione della metropolitana, la comoda applicazione con cui gestire ogni visione è stata sostituita da un sistema un po’ più macchinoso sul sito, e il piano “culinario” dell’Arkaden, che da anni si occupava di nutrire tutti con la sua varietà, rimarrà chiuso per i lavori all’intero centro commerciale, sostituito solo parzialmente da qualche camioncino di street food e da un inedito baracchino di bratwurst. Quasi come se la città avesse preso un po’ troppo alla lettera la (ovviamente innocente, in questo caso) direzione italiana, traslando per un anno nella capitale tedesca quei disservizi in genere tipici del Belpaese. Ma non sarà certo qualche piccolo disagio a fermare quella che, programma alla mano e prima della prova della sala, parrebbe la migliore Berlinale da parecchi anni a questa parte. Un luogo, sempre più profondamente legato alla città che lo ospita, dove guardare, scoprire, interessarsi, riflettere, confrontarsi, crescere. Viaggiare per il mondo, lo spazio e il tempo senza spostarsi o quasi da una piazza. Con le consuete sale perfette per poltrone, schermo – le dimensioni contano – e impianto audio, con l’inizio di ogni proiezione a spaccare il secondo, con le decine di migliaia di accessi fra gli accreditati di tutto il mondo e la sempre straordinaria risposta della cittadinanza. Con quella sigla, sempre lei, fatta di fuochi d’artificio e di orsetti luminosi. È cambiato tutto, o forse non è cambiato nulla, è solo un’evoluzione, una logica conseguenza, un anno di transizione in attesa da una parte che il lavoro di Chatrian continui a consolidarsi e perfezionarsi, e dall’altra che Berlino, dopo qualche perdonabile défaillance organizzativa, torni pronta per ospitare nelle migliori condizioni il più importante Festival cittadino al mondo, tornato finalmente a guardare dalle parti più illustri.
Marco Romagna