Se Berlino e ancor più Venezia sono – e lo sono, quantomeno a livello economico, mediatico e di attese del grande nome – la Serie A dei Festival cinematografici, Cannes è senza dubbio la Champions League. O ancor meglio, la Coppa del Mondo. Un qualcosa di irraggiungibile e inimmaginabile per tutte le altre realtà, quantomeno quelle europee. Cannes è la collezione primavera-estate di un anno nelle sale di tutto il mondo, Cannes è una vetrina da oltre 14mila accreditati e al contempo un privilegio raro al quale si accede solo con duro lavoro e molta pazienza, Cannes è la passerella principale per l’intero universo in celluloide, Cannes è il top dell’attenzione mediatica, Cannes è la grandeur francese – ma non solo francese – che si concentra per due settimane sulle rive della Costa Azzurra. Cannes è un carrozzone pressoché infinito di attori, registi, produttori, giornalisti, distributori, film commission e professionisti del cinema in qualsivoglia ambito: il picco dell’unione – o il drammatico confine, potrebbe ribattere qualche maligno – fra la cultura artistica e l’industria mercificata dell’immaginario.
Cannes è l’appuntamento dei grandi nomi, è la culla di tanti capolavori partiti dal Gran Teatro per fare la Storia del Cinema come di tante delusioni critiche anche sonore, ma che hanno molto spesso fatto cassetta. I film in selezione sono però solo una piccolissima parte di Cannes: il mercato annesso al Festival, e suo assoluto punto di forza economico capace di staccarlo da una Venezia ormai offuscata dalla quasi contemporaneità di Toronto e New York, è un’occasione unica per chi nel cinema investe, con interi alberghi sul lungomare di Boulevard de la Croisette che diventano sede dei maggiori loghi cinematografici mondiali, centinaia (migliaia?) di film in cerca di distribuzione nazionale e internazionale, locandine e versioni provvisorie di lungometraggi che forse non vedremo mai, proiezioni fugaci in sale irraggiungibili per gli accreditati stampa: un intero mondo parallelo fatto di meri interessi economici e di opulenti produttori americani con lo smoking e il sigaro d’ordinanza fra i denti, ma in sostanza il vero motivo per cui il Festival di Cannes riesce ad avere una così lampante leadership mondiale e a concentrare fra le sue selezioni ufficiali e indipendenti così tanta parte del top cinematografico. Cannes, quindi, è cinema, è compravendita di diritti in tutto il mondo, è glamour, è fabbrica di sogni e di soldi. Ma soprattutto, Cannes è dicotomia: terra promessa di ogni cinefilo e cineasta, e al contempo regno da colonizzare per chi del cinema fa solo un mestiere o peggio un business. Ma senza questi bolsi personaggi buona parte delle opere che amiamo, quantomeno in ambito mainstream, semplicemente non potrebbero esistere, e ne siamo pienamente consapevoli.
Per l’edizione numero 69, a partire dalla meravigliosa locandina godardiana (elaborata da Il disprezzo), il delegato generale Thierry Frémaux ha portato in selezione ufficiale un programma sulla carta – in attesa dei riscontri in sala – assolutamente straordinario, in grado di relegare in Un Certain Regard nomi del calibro di Hirokazu Kore-eda, Kirill Serebrennikov e Koji Fukada e di ospitare a contendersi la Palma, fra gli altri, Jim Jarmusch, Alain Guiraudie, Olivier Assayas, Park Chan-wook, Nicholas Winding Refn, Xavier Dolan, Ken Loach, Pedro Almodovar, i fratelli Dardenne, Paul Verhoeven, Jeff Nichols, Bruno Dumont, Brillante Mendoza e Cristian Mungiu. Senza dimenticare un fuori concorso in cui spiccano Woody Allen, Albert Serra, Rithy Panh, Paul Vecchiali, Steven Spielberg e un secondo film di Jarmusch. Se non bastasse, ci sono poi le sezioni indipendenti: un atteso Alessandro Comodin alla Semaine de la Critique, ma soprattutto una Quinzaine des Réalizateurs che quest’anno è un vero e proprio concorso a parte, con i tre italiani Paolo Virzì, Claudio Giovannesi e Marco Bellocchio che dovranno vedersela con le nuove fatiche di Pablo Larraìn, Paul Schrader, Alejandro Jodorowsky, ma anche Anurag Kashyap e Kim Nguyen. Fino a una retrospettiva, fra omaggi, restauri e film sulla spiaggia, che farà brillare ancora una volta gli schermi con capolavori straordinari come Sorcerer, Il Sorpasso, C’eravamo tanto amati, Solaris, Masculin Feminin, fino a Hospital di Wiseman…
Cannes è organizzazione quasi perfetta, è la ricettività di un’intera città, sono i rigidi controlli di sicurezza, da quest’anno ulteriormente rafforzati in seguito agli attentati di Parigi e Bruxelles. È vero, le code per l’accesso in sala sono storicamente lunghe, e non di rado sotto gli improvvisi quanto devastanti (quantomeno per gli abiti che si hanno addosso) acquazzoni primaverili con i quali a maggio è impossibile non fare i conti, come pure non è semplice una vita nella quale il colore dell’accredito è una vera e propria classe sociale oltremodo penalizzante per il web – nel caso di CineLapsus, un solo accredito stampa concesso con priorità minima, quella gialla, e un secondo valido solo per la sezione indipendente e parallela, ma forse mai interessante come quest’anno, della Quinzane. Non riusciremo a entrare a tutto ciò che ci interessa, lo sappiamo già, dovremo fare scelte anche dolorose e di sicuro ci ritroveremo rimbalzati da qualche sala già piena per testate che contano più della nostra. Ma poi, qualora ci venisse voglia di avanzare una qualche lamentela, viene in mente il pluriennale buco davanti al Palazzo del Cinema di Venezia con i lavori iniziati e mai portati avanti, ed è impossibile non notare come la macchina organizzativa cannense sia avanti anni luce, pur nelle ovvie difficoltà logistiche scaturite dalla gestione di una così imponente mole di persone, rispetto a quella che riesce ad offrire il Belpaese. Non possiamo quindi che ringraziare di essere qui, fare fronte alle difficoltà e rimboccarci le maniche, come abbiamo sempre fatto sin da quando CineLapsus esiste. Il materiale audiovisivo di cui innamorarsi c’è, senza alcun dubbio. Starà a noi coglierlo nel corso delle prossime due settimane, ragionarci, elaborarlo, scriverne, crescere durante ogni proiezione. Starà a noi viverlo, come e più del solito.
Marco Romagna