67. Berlinale – Internationale Filmfestspiele Berlin_9-19 Febbraio 2017_Presentazione
A Potsdamerplatz, in fondo alla Marlene Dietrich Strasse, quello che per oltre 350 giorni all’anno è uno dei principali teatri della metropoli teutonica è destinato a trasformarsi per poco meno di due settimane nel Berlinale Palast, accanto all’Hotel Grand Hyatt pronto a dedicare un paio di piani agli uffici e alle sale stampa, a loro volta di fronte al centro commerciale Arkaden destinato, invece, a rimanere sempre se stesso, ma di assurgere, nel suo dedalo di pizze al taglio, sushi, salsicce e fish&chips, a fondamentale centro nevralgico perché intere frotte di squattrinati accreditati possano riempire le proprie pance a prezzi tutto sommato contenuti. Del resto, Berlino è simbolo stesso di costante trasformazione, nella sua elegante e meravigliosa decadenza, nei suoi spazi sterminati, nella torre visibile da tutta la città come un faro pronto a guidarti verso Alexanderplatz, nella sua costante ricostruzione dopo la guerra, e poi ancora dopo la caduta del Muro. Un Muro che, Potsdamerplatz, la tagliava in due, e che ancora adesso rimane in qualche frammento lasciato a ricordo e monito e nella linea di confine incastonata nelle pavimentazioni che fa quasi strano varcare ogni mattina, arrivando dal vicino ostello. Ora è una creatura di Renzo Piano, Potsdamerplatz. È un nugolo di palazzoni, tre multisala, l’elefantiaco Sony Center in vetro, le stazioni della U e della S, mezzi di trasporto che arrivano puntuali ogni tre minuti e quasi annullano le distanze. Potsdamerplatz è l’efficienza tedesca in un’architettura moderna, simbolo di trasformazione e, appunto, sempre pronta alla costante trasformazione. Da quando esiste la piazza, quello che era “il Festival dello Zoo” ha cambiato sedi, lasciando decine di sale sparse per la città a disposizione della cittadinanza e di chi avesse bisogno di vedere qualche replica, ma portando il proprio centro nevralgico, organizzato alla perfezione fra lo sterminato Palast e le oltre venti sale fra Cinemaxx, Cinestar e Kino Arsenal, proprio a Potsdamerplatz, in quel centro pronto a trasformarsi costantemente. E che costantemente si trasforma, con la posa del tappeto rosso, con le decorazioni a forma di orso, con le biglietterie nel ventre dell’Arkaden e quella per accreditati all’Hyatt, con i programmi a disposizione di chiunque voglia partecipare alla grande festa: tutto è pronto per il calcio di inizio della 67ma Berlinale.
E alla Berlinale, si sa, ce n’è davvero per tutti. È un Festival colossale, con centinaia di film proiettati, decine di sale, centinaia di migliaia di accessi. Tante sono le sezioni, dal Concorso al (quasi) mainstream di Panorama, dalla ricerca anche sperimentale di Forum e Forum Expanded ai fuori concorso di lusso di Berlinale Special, che quest’anno ospiterà, fra i film più attesi di tutta l’edizione, il nuovo lavoro di James Gray The lost city of Z. Per i nostalgici ci sono poi decine di proiezioni imperdibili fra la retrospettiva che quest’anno andrà a pescare nella fantascienza – con tanto di proiezione dell’assoluto capolavoro del muto Algol. Tragodie der Macht accompagnato al piano da “sua maestà” Stephen Horne, ma anche di Ikarie XB-1 e Alien –, mentre Berlinale Classics presenterà gli ultimi restauri di Night of the Living Dead di Romero, Io e Annie di Woody Allen e la chicca Avanti Popolo di Rafi Bukaee. Uno solo è, fra i contemporanei, il film italiano selezionato, Call me by Your Name di Luca Guadagnino che verrà presentato in Panorama, ma guardando al passato si può gonfiare il petto dinanzi all’omaggio a Milena Canonero, costumista somma, per il lavoro della quale sugli schermi del Cinemaxx passeranno, fra gli altri, tre capolavori di Stanley Kubrick: Barry Lyndon, Shining e Arancia Meccanica.
Sempre molto interessante, poi, la selezione della sezione Forum, che a una marea di opere prime e seconde scelte, sostanzialmente, sulla base del lavoro che effettuano sul rinnovamento del linguaggio cinematografico, affianca i nuovi lavori di René Frölke – From a year of Non-events, questa volta in co-regia con Ann Carolin Renninger –, J.P. Sniadecki e Joshua Bonnetta (El Mar la Mar), Alex Ross Perry con Golden exits, ma anche i fratelli Sarmiento, Davi Pretto, Jang Woo-jin, Yuya Ishii e un’intera serie di 4 film-spazio di Heinz Emigholz.
Semmai, i dubbi iniziano quando ci si approccia al Concorso principale, che si annuncia quest’anno più che mai altalenante con le (poche) certezze costituite da Aki Kaurismaki che presenta l’attesissimo Toivon Tuolla Puolen – per noi decisamente più comprensibile nel titolo internazionale The other side of Hope –, Ildikó Enyedi che torna alla regia con On body and soul, Hong Sang-soo con il nuovissimo On the beach at night alone e Teresa Villaverde con Colo, contrapposte però a Joaquim di Marcelo Gomes, i soliti evitabili titoli tedeschi (ben 7 contando le coproduzioni) e le molte (troppe) scommesse fra cui l’animazione cinese di Have a nice day e un’opera prima come Django del francese Etienne Comar – non ci si faccia ingannare dal titolo dal retrogusto corbucciano/miikiano/tarantiniano, Django parrebbe dalla sinossi essere un ritratto umano d’artista perseguitato sì dal nazismo, ma in forme che si annunciano piuttosto lontane da quelle atmosfere western che di primo impatto vengono rievocate – lanciata come apertura. Senza contare poi i film fuori concorso, da T2 – Trainspotting alla variabile impazzita di Alex de la Iglesia, che con El Bar potrebbe avere centrato il grande film come la sonora caduta. Ma, come sempre, sarà soltanto la sala a dare le risposte alle domande, e questa presentazione, atta a misurare la febbre delle attese e non certo a voler recensire preventivamente film che devono ancora essere visti, si confermerà ancora una volta semplice chiacchiericcio. Perché non sono le attese che contano, sono soltanto le immagini, i suoni, i fotogrammi. Contano le opere e contano gli autori, le loro idee, i loro messaggi, e la cosa più bella a un Festival è essere sorpresi, scoprire, stupirsi, crescere, essere stimolati, ragionare, o forse innamorarsi, perché il cinema è anche e soprattutto mistero, sentimento, passione. Magia. Pronta a concentrarsi a Potsdamerplatz, proprio sulla Marlene Dietrich Strasse: il luogo dei costanti cambiamenti.
Marco Romagna