35mo Torino Film Festival_24 Novembre – 2 Dicembre 2017_Presentazione

Il Torino Film Festival è semplicemente una tradizione irrinunciabile. È il Festival della prima neve, è il Festival che tradizionalmente chiude l’annata cinematografica, è il Festival dei lunghi viali, della gigantesca Piazza Vittorio Veneto, di Piazza Castello con le sue altrettanto tradizionali installazioni rigorosamente marchiate TFF. Quello diretto da Emanuela Martini, all’undicesimo novembre/dicembre sotto la Mole prima all’ombra dei vari Moretti, Amelio e Virzì e poi “promossa” a front-(wo)man, è un Festival destinato alla città sabauda ma non solo, pronto a richiamare appassionati da tutta Italia con un format che guarda apertamente alla Berlinale e alla sua capacità di soddisfare ogni tipo di pubblico fidelizzandolo alle varie sezioni. Sta già tutto nella sigla che apre ogni proiezione, così lontana dalla vacua autocelebrazione che sempre più spesso inonda gli schermi festivalieri. Al centro del viaggio della lampadina del TFF ci sono i film, i fotogrammi, la passione del cinefilo che collega un amore all’altro. Che poi è come funziona anche, anno dopo anno, il programma, che alle opere prime, seconde e terze del concorso principale affianca da molti anni una Festa Mobile fatta di anteprime e di recuperi festivalieri in una sorta di utilissimo “best of” dell’anno, una Onde di ricerca che si snoda fra i linguaggi cinematografici e le cinematografie meno battute, una TFFdoc che si focalizza sui documentari di tutto il mondo, una After Hours che si concentra sul cinema di genere (con tanto di imperdibile Notte Horror fatta di proiezioni che il sabato notte si protraggono fino a oltre le 5 del mattino), e una sempre importante e imponente retrospettiva, che per questa edizione numero 35 del Festival non ha scelto di concentrarsi non su un nucleo tematico ma, quasi a riprendere le retro curate da Giulia D’Agnolo Vallan e Roberto Turigliatto nei bellissimi anni che furono, su un grande autore americano vivente, Brian De Palma, figura fondamentale non solo della New Hollywood, del quale verrà proiettata la filmografia integrale.

Fra Il fantasma del Palcoscenico e Gli intoccabili, passando per Carlitos’s way, Carrie, Redacted, Scarface e Blow out, saranno senza dubbio proprio gli split screen e i folgoranti pianisequenza di De Palma a scandire i nove giorni della kermesse edizione 2017, ma non può che rimanere un piccolo retrogusto amaro per i tanti, troppi DCP presentati, quando forse non sarebbe stato troppo difficile attivare con più cura la collaborazione fra le cineteche per reperire un maggiore numero di copie in pellicola garantendo una più scrupolosa filologia. Filologia che invece, paradossalmente, sarà ben più rispettata nella piccola sezione Amerikana, nella quale la guest director Asia Argento porterà cinque film per delineare la “sua” America da italiana, riscoprendo Werner Herzog, Dennis Hopper e Wim Wenders, e chiudendo il tutto con il suo esordio registico a stelle e strisce Ingannevole è il cuore più di ogni cosa. Ma in quella curata da Asia Argento, per quanto sezione composta da film piacevoli da (ri)vedere su grande schermo, è tuttavia difficile vedere una vera e propria direzione, un vero e proprio filo conduttore che leghi insieme i titoli scelti. Come pure è difficile trovare una reale collocazione festivaliera e cinematografica alla sezione speciale Non dire gatto, con la quale la direttrice e rinomata gattara Emanuela Martini ha deciso di omaggiare i felini fra Chris Marker e il Black Cat di Lucio Fulci, passando per lo Stregatto di Alice nel paese delle meraviglie. Ma forse non ha nemmeno troppo senso interrogarsi su quello che è apertamente un gioco cinefilo e gattofilo: basta prenderlo, e goderselo, per quello che è. Nel pieno spirito del Torino Film Festival, dove prima di tutto quello che conta è guardare – e amare – i film e il cinema. E divertirsi facendolo.

Dall’apertura riservata, come ormai d’abitudine, al cineasta nipponico Sion Sono che dai tempi della retrospettiva integrale a lui dedicata nel 2011 mantiene con il Torino Film Festival un rapporto speciale – quest’anno verrà proiettata la versione cinematografica di circa due ore e mezza della sua serie Amazon Tokyo Vampire Hotel – la kermesse sabauda riempirà le giornate a cavallo fra il penultimo e l’ultimo mese dell’anno con oltre centocinquanta film, spartiti fra la prima italiana dello splendido Colo di Teresa Villaverde già in concorso all’ultima Berlino e quella del portoghese Verão Danado che già molto aveva colpito a Locarno, fra l’ultimo lavoro di Claire Denis pescato direttamente dalla Quinzaine di Cannes e il Napalm secondo il grande Claude Lanzmann, fra l’aeroporto deserto della Tripoli Cancelled del bengalese Naeem Mohaiemen e il potere mediatico del The Reagan Show, fra il Kantemir Balagov di Tesnota e la chiusura della trilogia di Carmit Harash, dopo Ou est la guerre e Attaquecon il nuovo Christelle. Senza dimenticare La cordillera di Santiago Mitre e la Mary Shelley secondo Haifaa Al-Mansour, già regista dell’ottimo Wajida poi devastato al momento della distribuzione dal titolo italiano La bicicletta verde. Così come, a stuzzicare l’interesse, ci sono senza dubbio le quasi 3 ore d’esordio del lusitano Pedro Pinho che compongono l’A fabrica de Nada ospitata in concorso, il ritorno di Emiliano Dante con il terzo documentario sulla non-ricostruzione de L’Aquila post-terremoto, il film-footage sul 1977 che Luis Fulvio (Baglivi, mente e mano di Fuori Orario) promette da molti anni e ha finalmente concluso, e chissà quali e quante saranno le scoperte che si annideranno fra le tre sale del Massimo e le cinque del Reposi, fra il nugolo di sezioni, fra un Omicidio in diretta e il giovane Bruce Springsteen che, sotto la regia di Brian De Palma, iniziava già nell’84 a invitare avvenenti donne sul palco per ballare insieme Dancing in the Dark.

Fra i film da vedere e quelli da rivedere, ancora una volta ci si ritrova tutti fra via Verdi e Piazza San Carlo, fra via Po e le ormai argentiane statue di Piazza CLN, protetti dai portici o di corsa per una proiezione, al freddo in coda di fronte ai totem dei (maledetti) biglietti blu senza i quali è pressoché impossibile accedere alle proiezioni serali o al caldo in uno dei numerosi pub del centro di Torino, di fronte a una pinta, o forse a un litro con il quale chiudere la giornata. Perché, e questo va al di là del programma di una o dell’altra edizione, e probabilmente anche delle coerenti linee guida che da tanti anni vengono portate avanti con successo, il TFF è una grande festa di passione cinefila e un’occasione di incontro, è un ambiente rilassato e stimolante come la città che ospita l’evento, è un appuntamento immancabile, sempre e inevitabilmente fra i più attesi dell’anno. Fra i motivi per i quali esiste CineLapsus, che proprio qui a Torino aveva mosso i suoi primi, e incerti, passi. Sembra passato un secolo, e invece, per fortuna, è sempre tutto uguale. Sempre qui, sotto la Mole, fra amici e appassionati, in attesa che si spengano ancora una volta le luci, in attesa che la lampadina della sigla – sempre magnifica – ricominci a volare, a trasformarsi in Nosferatu e nel bacio di Clark Gable, o a tuffarsi nel latte che fu di Alfred Hitchcock.

Marco Romagna