VENGEANCE IS MINE. ALL OTHERS PAY CASH (2021), di Edwin

Non è certo un caso che l’allegorica notte del protagonista inizi quando il giorno di Giava si fa scuro all’improvviso, nel pieno dell’eclissi totale del 1983. Un sole che diventa un semplice anello nel cielo, la luce che si trasforma in fioca e glaciale, per un trauma mai superato come assistere allo stupro di una donna da parte di due fra i poliziotti che avrebbero dovuto proteggere la comunità. Un episodio brutale, tanto crudele da essere destinato anche nel flashback a rimanere parzialmente fuori campo, ennesima declinazione machista e violenta di una società fallocentrica e fondata sul crimine impunito contro l’umanità in quell’Indonesia degli anni Ottanta nella quale la corruzione diffusa sotto Suharto, dittatore ormai da più di quindici anni passando per i massacri interni già diventati il The act of killing secondo Oppenheimer e per l’altrettanto sanguinaria invasione espansionista su Timor Est, stava raggiungendo i suoi apici di endemizzazione prima della destituzione del regime che sarebbe arrivata solo a fine anni Novanta. Eppure in Vengeance is mine, all others pay cash, Pardo d’Oro al 74mo Locarno Film Festival che con le sue istanze femministe avvolte in tinte pulp è forse la migliore legittimazione possibile per l’idea di cinema espansa verso il popolare portata dal neodirettore Giona A. Nazzaro, la potenza metaforica dell’impotenza del combattente Ajo Kawir è ben chiara anche prima del definitivo svelarsi del motivo che sta alla sua base. Una disfunzione che, tanto nel film di Edwin quanto nell’omonimo romanzo di Eka Kurniawan da cui il regista e lo stesso scrittore hanno tratto la sceneggiatura per il lungometraggio, racchiude quasi intrinsecamente un istintivo rifiuto degli abusi patriarcali, un involontario autoevirarsi che è a suo modo personale e drammatica lotta contro tutto il sistema fallocratico del tempo ossessionato dall’erezione. Ma anche il più classico fra i segreti di Pulcinella quando, sei anni dopo, nel 1989 che apre il film fra le sfide in motocicletta e le scazzottate in strada fra i mercenari al soldo del crimine, tutti sanno perfettamente come la forza di Ajo nelle lotte sia inversamente proporzionale alla sua virilità – «Non c’è nulla di più umiliante per una prostituta di un uccello che non si rizza». Una sorta di fallo – un po’ in tutti i sensi – di reazione con cui quotidianamente ristabilire la propria mascolinità, e dalla frustrazione ritrovare l’autostima perduta e il riaffermarsi come uomo. Anche Iteung, lottatrice che incarna il ribaltamento completo del maschilismo manesco su cui si impernia(va?) la società – sintomatico come una donna, per ottenere lo stesso rispetto dell’uomo, debba necessariamente sfidarlo sullo stesso terreno di violenza –, conosce perfettamente il suo problema erettile. Eppure, quando il reciproco darsi filo da torcere in combattimento li farà innamorare, sarà ben più che disposta a sposarlo nonostante tutte le insicurezze di lui, nonostante la sua vergogna, nonostante la sua paura di renderla infelice.

Anzi, forse sta proprio in quella chitarra ossessivamente suonata per «allenare le dita», l’apice della poetica di Vengeance is mine, all others pay cash, titolo inglese che traduce in maniera consapevolmente infedele l’originale Seperti Dendam, Rindu Harus Dibayar Tuntas, letteralmente “Come la Vendetta, il Desiderio deve essere completamente pagato”. È il tentativo dell’uomo di dare comunque alla donna il piacere che merita e di cui ha bisogno, lo sforzo per non farle mancare nulla, l’alternativa a quello che non funziona in mezzo alle gambe. Non tanto per gelosia (comunque non certo ingiustificata, perché nell’amore senza sesso il desiderio non può che essere tentazione) nei confronti del virilissimo ex di lei e rivale Budi, altro piccolo gangster che mai smetterà di tampinare Iteung finché non sarà lei stessa pentita a ucciderlo e a scontare tre anni di carcere, ma molto più semplicemente perché mosso dall’unico e limpido desiderio di fare felice l’amata. Da quella nottata arrampicati fra le giostre del luna park ai volti che amorevolmente si sfiorano mentre da un buco piove sul letto, da quelle canzoni (in)ascoltate per radio a quel nuovo bacio di dichiarazione sotto il monsone, dai biglietti d’amore spediti e conservati alla penna restituita a quel (non più ma al contempo eterno) bambino i cui aguzzini sono finalmente morti. Fino all’auto della polizia che, dopo dolorosi tradimenti, vendette, carceri, gravidanze, sensi di colpa, abbandoni, illusorie nuove vite e fantasmi, giungerà sullo sfondo del loro ultimo ritrovarsi nel magnifico finale. Istanti di una lirica purissima, preziosa e disarmante, con cui Edwin innerva di tenerezza il suo accorato omaggio all’exploitation indonesiana degli anni Ottanta mentre gioca apertamente con l’action, la commedia nera, il melodramma e, seppure nell’inserto meno riuscito, il fantastico genderfluid di Jelita, spettro che viene fuori dai disegni, dalle idee, dalle necessità, forse dalla morte, e che proprio evocando la paura della morte permetterà ad Ajo di ritrovare l’amore. In un film apertamente di genere, ondivago e non propriamente costante nella tanta – forse pure un po’ troppa – carne al fuoco non sempre gestita allo stesso livello, ma che nel suo spirito popolare riesce a innestare le pennellate di un’autorialità ipercinefila e poetica, che sa intercettare le istanze del tempo e prendere apertamente posizione sulla questione femminile, sulla brutalità della società di ieri e di oggi, e in qualche modo anche sul (ripartire del) cinema, con i suoi modi di raccontare e la flagranza dei suoi sentimenti, con i suoi gangster indifesi ormai in pensione e con i suoi combattenti che si trovano e si amano, con i suoi maestri di arti marziali ciechi e con i suoi sogni che trovano forme e corpi sullo schermo. Fra orecchie tagliate, lotte, minacce telefoniche, omicidi, malavita, frustrazioni e desiderio, Vengeance is mine, all others pay cash ragiona sul fallocentrismo violento della società e lo smonta punto per punto, rimettendo al centro l’amore nonostante tutto, vendicandosi e vendicando contro gli amanti di oggi e gli stupratori del passato, risolvendo l’uno i problemi più intimi e inconfessabili dell’altro. Non resterà che cercarsi un’ultima volta, baciarsi prima di dover andare via per chissà quanti altri anni lontani, ma certi di ritrovarsi nello stesso posto con lo stesso amore. Consci che la vita sarà ancora lunga e felice, e il loro legame infinito. Forte come un pugno.

Marco Romagna