14 Agosto 2024 -

KIMINOIRO (2024)
di Naoko Yamada

Nel suo capitale testo Lo spirituale nell’arte, Vasilij Vasil’evič Kandinskij descriveva la sua sinestesia pura affermando di poter ascoltare la voce dei colori, come se fossero entità sonore vive che in qualche modo gli suggerivano, alla guisa di note su uno spartito, i modi nei quali liberamente ricombinarli nell’astrattismo delle sue tele. Una condizione clinica e psicologica, per nulla grave e anzi percentualmente abbastanza comune fra gli artisti che hanno imparato a trarne vantaggio come stimolo multisensoriale per l’inventiva, che porta un normalissimo fenomeno percettivo come la sinestesia, ovvero la stimolazione di un senso attraverso un altro – si pensi a come l’olfatto può “contaminare” il gusto non solo nei palati allenati dei sommellier, o a come nel cinema un suono improvviso e alle giuste frequenze possa essere usato per “far vedere” qualcosa che rimane fuori campo –, a manifestarsi automaticamente e in maniera del tutto involontaria, mostrando al nuovi mondi e nuove forme, nuove aure e nuove possibilità, potenzialmente infinite, di suono e di colore. È per questo che la sognatrice Naoko Yamada, nel delineare insieme al fido sceneggiatore Reiko Yoshida la trama originale del suo nuovo e sorprendente anime Kiminoiro (o se si preferisce Kimi No Iro, oppure l’internazionale The colors within, o ancora I colori dell’anima già annunciato per la vendita in Italia), presentato nella sezione Kids di Locarno77 dopo la prima assoluta di Annecy e due settimane esatte prima dell’uscita in sala in Giappone, ha scelto di raccontare tutta la storia proprio attraverso lo sguardo della sinestetica pura Totsuko. Una studentessa giovane e impacciata, capace però, in gran segreto, di vedere (o forse sarebbe meglio dire «sentire») come colori più e meno accattivanti l’interiorità e la bontà d’animo delle persone, e incontrandole immaginare (o forse sarebbe meglio dire «percepire») nuovi mondi di forme e colori che si incontrano nella luce e si riamalgamano in nuovi stili e in nuove armonie, cui solo le infinite potenzialità immaginifiche meravigliose del cinema d’animazione, specialmente nei tratti miyazakiani-shinkaiani-kawaii da sempre cifra stilistica di Naoko Yamada e nelle tinte calde e scintillanti dei suoi colori pastello, possono rendere giustizia. In un film che, a distanza di otto anni dal grande successo ottenuto affrontando sordità e bullismo ne La forma della voce e soprattutto a sei da Liz e l’uccellino azzurro che già si muoveva in ambito musicale facendo stringere amicizia a due suonatrici di ottoni dell’orchestra scolastica (anche se, a ben vedere, la musica è viva ossessione della regista sin dai suoi esordi televisivi con la serie rock K-On!), riporta il cinema dell’animatrice giapponese alle sue tematiche e alle sue metafore di riferimento, al suo minuzioso lavoro di mappatura della quotidianità, ai suoi romanzi di formazione corali di giovani outsider adolescenti destinati – spesso suonando insieme – a imparare ad affrontare la vita, fra intuizioni al contempo visive, musicali, linguistiche e sentimentali. Storie di amicizie e di (in)comprensioni, di diversità e di dinamiche giovanili, di difficoltà ad adattarsi e di più o meno aperte ribellioni, di ripetute frustrazioni e di meritati riscatti. Storie delle quali Kiminoiro, con i suoi tre personaggi in cerca di un senso e con la loro formazione di una band tanto casuale quanto (per lo meno inizialmente) clandestina, appare come la più naturale e coerente fra le possibili prosecuzioni.

È proprio la sinestesia pura di Totsuko, a mettere insieme il complesso musicale. Prima prendendo una pallonata in faccia nell’ora di ginnastica per essersi distratta ad ammirare la splendida aura blu cobalto della compagna di scuola Kimi, poi inseguendola fino in un negozio di libri usati dopo il suo abbandono del liceo (senza però il coraggio di dirlo all’amorevole nonna) per trovarla intenta a suonare la chitarra, e infine, pur se totalmente principiante, improvvisandosi pianista quando vedrà nello stesso negozio l’altrettanto magnifica aura verde del nerd gentile Rui alla ricerca di qualcuno (rigorosamente di nascosto dalla sua famiglia a cui importa solo che diventi medico per poter rilevare la loro clinica) con cui formare una band. Tre ragazzi emarginati e insicuri, più o meno esclusi dai coetanei e più o meno pressati dall’ansia dei rispettivi ambienti sociali (quello scolastico-religioso rigorosamente femminile della fedelissima Totsuko, che rimarrà nel dormitorio e fra le suore pure durante le vacanze, quello familiare di Rui e quello post-familiare dell’orfana Kimi che non vuole deludere la nonna che la sta amorevolmente crescendo), in un’unione di colori interiori che la musica fatta insieme renderà un’unione di anime, di amicizie per le quali vale la pena mentire e ripetutamente peccare, di progressivi, reciproci e sempre più fiduciosi disvelamenti l’uno con l’altro fino a trovare insieme, bloccati al freddo e al lume di candela sotto una fitta nevicata, la forza di sfidare apertamente le paure, i segreti, i fallimenti, i discorsi rimasti inaffrontati delle proprie esistenze. Per trovare finalmente «la serenità per accettare le cose che non si possono cambiare», ma pure «la forza per cambiare quelle che è possibile riplasmare». Magari in un concerto scolastico per San Valentino, magari trovando le parole per dire alle famiglie quello che non si aveva mai avuto l’audacia di dire loro, magari scoprendo nuovi rapporti umani e nuove corrispondenze proprio con quella suorina ultima arrivata che diventerà coscienza e per molti versi produttrice musicale fino a rivelarsi come una vecchia anima rocker che darà senso al graffito da sempre sul letto. Magari ritrovando nelle canzoni la medesima delicatezza di quella danza classica grande senso di sconfitta da bambina, o magari potendo alfine accettare felici il proprio destino senza rimpianti, consapevoli di avere dato seguito alla propria passione con successo (e probabilmente di poterla ancora portare avanti in futuro) e soprattutto di non essere più soli, ma che su quel pontile ci sarà sempre qualcuno ad aspettare il traghetto di ritorno. Elementi di una storia di (triangolari, fluide, eppure perfettamente innocenti) attrazioni proibite e di corrispondenze di sensi (o forse di interferenze, contaminazioni, completamenti fra i sensi), in cui l’anima e perfino lo slancio creativo di chi compone una canzone è puro colore da visualizzare, e in cui il fotorealismo di Naoko Yamada, ottimo per fluidità e character design pure se a volte un po’ più scarno ed essenziale in qualche fondale, mette insieme un theremin Moog e le esplosioni di luce, una testata Orange e la più pura astrazione, una schermata in multitraccia di Pro Tools e la capacità di vedere i suoni che vivono la propria vita. Ma pure un ambiente ipercattolico e tre differenti forme di disagio sociale, che miracolosamente riusciranno a trovare un punto di equilibrio proprio nella musica, proprio nel momento di chiedere scusa, proprio in quelle stanze che sembravano una prigione. Passando per malattie immaginarie e ospitate clandestine nel dormitorio, per sensi di colpa (specialmente nei confronti degli altri) e per bugie che «non sono realmente peccati perché commessi per riguardo», per un traghetto cancellato e per tutte le necessarie confessioni. Passando per una straordinaria cover al glockenspiel di Born Slippy degli Underworld, per una scaletta che dalla ballata triste in la minore deflagra fino al synth pop in cui alzare la manopola delle frequenze sul sintetizzatore per mandare il pubblico in delirio, e per un festone di stelle filanti colorate da lanciare nel vento. Magari non proprio in volo verso l’infinito e oltre come Buzz Lightyear, ma sicuramente verso una vita finalmente pronta a sbocciare. Poi sì, probabilmente a parità di “anime musicale di formazione” del 2024, pur se differente per età dei musicisti e per genere da suonare, Blue Giant di Yuzuru Tachikawa è ancora più bello. Ma di fronte a un lavoro ambizioso, centrato e pienamente riuscito come Kiminoiro ci si “accontenta” molto più che volentieri. Anzi, non c’è proprio nulla di cui “accontentarsi”. Si prendono entrambi con entusiasmo e grande piacere, e forse pure con un filo di invidia verso l’industria e gli studi nipponici che hanno – come insegna l’Italia cosa per nulla scontata – il coraggio e le spalle larghe per farli esistere.

Marco Romagna

“Kimi no iro” (2023)
Animation | N/A
Regista Naoko Yamada
Sceneggiatori Reiko Yoshida
Attori principali N/A
IMDb Rating N/A

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